Nel polverone mediatico su incentivi sì-incentivi no, si è lasciata vedere una sola cosa: la questione Fiat-Termini Imerese. Trascurando, per esempio, il destino dei concessionari, che danno anch’essi da vivere a migliaia di famiglie e sono sempre più a corto di risorse, cosa che mette a rischio anche la qualità dell’assistenza (quindi la manutenzione e la sicurezza delle nostre vetture). D’altra parte, il mondo dei media ha una ragione molto concreta per glissare su uno degli altri aspetti del problema: i soldi che prende dalla pubblicità dell’auto. Che sono legati a doppio filo agli incentivi, come ci mostra l’ultimo bollettino Fleet&Mobility di Pier Luigi Del Viscovo e Alessandro Palumbo (http://94.88.94.74:8080/ism/UserFiles/Bolettino%201_10.PDF): se non ci fossero stati i bonus statali all’acquisto, l’anno scorso sul mercato pubblicitario le case automobilistiche avrebbero messo 100 milioni di euro in meno, accentuando ulteriormente quella flessione dei ricavi pubblicitari che c’è comunque stata (17%, ma a gennaio 2009, senza incentivi, era al 30%). Né si può giurare che quei 100 milioni li avrebbero messi le aziende di altri settori cui il Governo – secondo molti – avrebbe dovuto concedere analoghe agevolazioni: storicamente le aziende dell’auto sono tra le più inclini a investire in pubblicità, tanto che sono seconde nella classifica dei top spender, dopo quelle dell’alimentare. Così nel mondo dei mezzi d’informazione e dintorni oggi si licenzia e si manda in cassa integrazione a tutto spiano, cercando di non dare nell’occhio (e riuscendoci, visto che l’informazione la facciamo principalmente noi), forse per non compromettere ulteriormente la propria credibilità verso il pubblico. Sperando che i buchi che si aprono negli organici e i tagli nelle risorse a disposizione non peggiorino drammaticamente il prodotto.
Si è arrivati a questo per tanti motivi. Chi ha ruoli dirigenziali tira in ballo più spesso la scarsa voglia di leggere da parte del pubblico. Per questo da almeno un decennio, di fronte al dilemma se privilegiare i ricavi da pubblicità o quelli da vendite ai lettori, ha puntato decisamente sui primi, contando sul fatto che nel breve e medio periodo fossero meno incerti e più facili da ottenere. Marginalizzando chi avrebbe voluto percorrere strade più “alte” e mettendo i destini propri e quelli dei colleghi nelle mani degli inserzionisti.
Nel breve e nel medio periodo, questo ha significato fare informazione sempre con l’occhio attento a non urtare la suscettibilità degli inserzionisti. Adesso che è arrivata la crisi e gli inserzionisti spendono meno, molte redazioni stanno diventando piccole Termini Imerese; altre potrebbero diventarlo in futuro. Anche perché i lettori latitano. Qualcuno perché non ha soldi, qualche altro perché non gli interessa informarsi davvero. E qualche altro ancora perché ha sia i soldi sia l’interesse, ma non trova mezzi d’informazione proprio affidabili. Mentre i giornalisti che cercano ancora di dare affidabilità operano con tali difficoltà che alla fine rischiano di fare tanti errori pure loro.