Ci credereste se vi dicessero che una stessa norma può contemporaneamente vietare una cosa e imporla? Leggete il Codice della strada: prima stabilisce che è vietatissimo usare dispositivi in grado di svelare dove sono i controlli di velocità, ma se girate qualche pagina scoprite che impone di presegnalarli e di renderli visibili. Su quest’ambiguità è nato uno dei business di questo Natale, che già il 14 ottobre vi ho descritto come vietato, checché ne scrivano i miei colleghi (non spiegando nemmeno perché sarebbe legale): la vendita del Coyote, un apparecchio in grado di segnalare non solo le postazioni di controllo automatiche (quelle fisse, di cui già tengono conto i navigatori), ma anche gli appostamenti temporanei delle pattuglie munite di misuratori di velocità (anche se proprio questo è il punto su cui non è detto che il Coyote funzioni bene, leggete le impressioni del nostro esperto lettore Gianluigi Feroldi Scarica Prova COYOTE[1]) .
Verrebbe da dire che la destra non sa quel che fa la sinistra. A essere maligni, si può aggiungere che in questo caso la sinistra – intesa come parte politica – non sa nemmeno ciò che lei stessa fa. Era al governo dieci anni fa, quando è stato introdotto con la legge 472/99 i commi 9-bis e ter dell’articolo 45 del codice della strada, che vietano di produrre, vendere e usare dispositivi in grado di svelare i controlli, con sanzioni salatissime (multa di 743 euro e confisca dell’apparecchio). E due anni fa fu il ministro comunista Alessandro Bianchi a voler imporre la trasparenza: il Dl 117/07 (noto come decreto Bianchi) aggiunse all’articolo 142 del codice il comma 6-bis, che obbliga a segnalare in anticipo qualsiasi controllo di velocità e vieta le postazioni nascoste o poco visibili.
In realtà, già oltre un anno prima del decreto Bianchi (quindi verso la fine del governo Berlusconi precedente all’attuale) la Polizia stradale (le municipali molto meno) aveva cambiato strategia contro la velocità: niente più "agguati" e divulgazione dei calendari settimanali dei controlli. Quindi, di politico questa storia sembra avere solo l’ansia di apparire, che non di rado spinge ministri e parlamentari a cambiare il Codice della strada in base alla ricerca del consenso del momento, senza curarsi di coordinare le modifiche col testo preesistente.
Così per gli agenti che devono applicare le norme l’imbarazzo non manca. Tanto più ora che la Magneti Marelli ha lanciato in Italia il Coyote, un apparecchietto già in commercio all’estero che ha in memoria l’ubicazione dei misuratori di velocità fissi e riceve via via le segnalazioni sugli appostamenti delle pattuglie, fatte dagli altri utenti muniti dello stesso dispositivo (che ha un tasto per inviare l’"allarme" alla community). Insomma, una versione moderna del classico lampeggio di avvertimento, che nei decenni passati era costato a qualcuno pure una denuncia penale.
Forte dell’articolo 142, la Marelli sostiene che il Coyote sia legale e pare abbia ottenuto una sorta di approvazione da parte della Polizia stradale, che non ha interesse a cambiare la strategia di trasparenza intrapresa (ma – e non sarebbe la prima volta per un'amministrazione italiana – potrebbe sempre cambiare idea se il nodo venisse seriamente al pettine con l'intervento di qualche giudice o altra autorità). A leggere bene le norme, le certezze svaniscono: mentre l’articolo 45 vieta i dispositivi che svelano le «apparecchiature» che controllano la velocità (intese come misuratori effettivamente in azione), l’articolo 142 parla delle «postazioni di controllo» (di solito intese come i punti dove sono o possono essere i misuratori, indipendentemente dal loro effettivo funzionamento). E il Coyote, grazie al suo tasto di segnalazione, rientra pure nel campo dell’articolo 45. Finora nessuno è intervenuto per sanare la situazione: anche il Ddl sicurezza stradale in discussione al Senato, che abbraccia mezzo Codice, non ne parla.