Oggi qui a Bari c'è molto clamore: come vedete anche nelle cronache nazionali, è arrivata a maturazione una maxi-inchiesta sul riciclaggio di centinaia di milioni di euro dello storico clan Parisi. Non è solo una questione di mala: tra gli indagati, assieme a malavitosi che ricordano i bassifondi dei film di Alessandro Piva sulla Bari di una decina d'anni fa ("Lacapagira" e "Mio cognato"), ci sono anche pezzi della città che conta (dalla bella deputata già tirata in ballo nell'affaire-Tarantini ai principi del foro con un piede – chissà perché - in politica) e della città-bene (direttori di banca). Naturalmente la presunzione d'innocenza vale per tutti. Naturalmente qualcuno potrà anche essersi trovato in mezzo per equivoco, per mera inconsapevolezza o per umano bisogno di denaro, senza pensare che dietro tutto c'era la criminalità organizzata (se c'era). Naturalmente potrebbero non arrivare condanne nemmeno se i fatti fossero tutti accertati: molte cose moralmente discutibili non sono riconosciute come reato e poi c'è sempre la prescrizione…
Perché ve ne scrivo? Non solo per darvi un affresco di una città complessa in cui per la prima volta emerge un legame tra criminalità e professionisti (finora svelato in ben altre metropoli), ma anche per dirvi che nelle 74 pagine in cui la Procura antimafia riassume le indagini ce ne sono più di 10 che toccano argomenti che ci riguardano. Infatti, si parla di pregiudicati con patente revocata per mancanza di requisiti morali (la revoca serve soprattutto a evitare l'uso di mezzi di trasporto che favoriscono l'attività criminale) che si muovono liberamente al volante di auto di ogni tipo (Lancia Musa, Toyota Yaris vecchio tipo, Renault Scenic, Bmw X3 e X5 vecchia). E ci sono manovre per intestare queste auto a prestanome, eludendo il divieto di possedere automezzi che colpisce chi ha un certo pedigree criminale.
Ci pensate a che cosa potrebbe accadere ad avere un incidente con questi signori?