Due ore fa, Cassazione.net ha dato notizia della sentenza n. 24689, con cui ieri è stata diminuita la quota di responsabilità di un automobilista che aveva investito e ucciso un ragazzo che attraversava una strada a scorrimento veloce di notte, dopo aver scavalcato il guard-rail. Immagino la rabbia del nostro amico Giuliano Gavazzi, appassionato sostenitore delle ragioni di pedoni e ciclisti, e il sospiro di sollievo di molti guidatori che non sono soliti andare pianissimo. Ma, prima che gli animi si scaldino, vorrei analizzare la questione: scopriremo che non sono giustificati né la rabbia né il sollievo. E capiremo il perché di certi limiti in apparenza assurdi (in questo caso, alludo ai 50 all'ora su certi vialoni che sembrano piste).
Dunque, da quanto emerge dal resoconto di Cassazione.net, i giudici si sarebbero discostati dalla giurisprudenza prevalente secondo cui il pedone investito ha quasi sempre ragione o comunque ha una colpa minima. Lo avrebbero fatto perché qui la vittima ha causato una situazione poco prevedibile, andando a piedi su una strada a scorrimento veloce che apparentemente è fatta per i soli veicoli (tanto che per arrivarci ha dovuto scavalcare il guard-rail). Ma questi non mi sembrano elementi sufficienti in assoluto per dare al pedone una quota di colpa nettamente superiore a quella del conducente: bisognerebbe vedere nel dettaglio la strada dov'è accaduto l'incidente.
Infatti, può benissimo essere che anche lì la circolazione dei pedoni fosse consentita, anche se ormai nella prassi tutti riteniamo da pazzi andare a piedi su una strada con spartitraffico e senza marciapiedi, tanto che lì a piedi non ci va quasi più nessuno (ma provate ad andare in Paesi un po' meno avanzati, per esempio nei Balcani, e vedrete che differenza): finché non lo abrogano, c'è sempre il Codice della strada. Che non prevede le "strade a scorrimento veloce" (provate a cercarle nel testo, non le troverete) e bandisce la presenza dei pedoni esclusivamente su autostrade e strade extraurbane principali, oltre che sui tratti di viabilità ordinaria dove c'è un esplicito segnale di divieto. Insomma, parliamo di una parte molto limitata della rete stradale italiana: per capirci, anche la maggior parte delle superstrade a doppia carreggiata è classificata come extraurbana ordinaria e quindi la presenza dei pedoni, per quanto abbia una probabilità remota, è consentita e occorre tenerne conto (per questo c'è il limite generale di 90, lo stesso delle classiche statali a due corsie di epoca fascista). Per inciso, dove questa probabilità è un po' meno remota, spesso gli enti proprietari impongono limiti bassi, che sembrano ridicoli in rapporto alla larghezza della strada (è soprattutto quella che ci toglie la sensazione di velocità, assieme alla silenziosità delle auto di oggi) ma poi quando spunta un pedone si vede se sono adeguati o no. Ricordo che l'estate scorsa è stato travolto un pedone sulla superstrada Adriatica a Polignano (Bari), dove per qualche chilometro la carreggiata sembra assolutamente uguale al resto della tratta Bari-Lecce (dove sono ammessi i 110), ma non a caso c'è il 90 (non ci sono tutte le caratteristiche per la classificazione a extraurbana principale e quindi per i 110).
Quindi, occorre capire bene che cosa intenda la Cassazione quando scrive di "strada a scorrimento veloce". Sarei d'accordo coi giudici solo se ci fosse un divieto di transito per pedoni (esplicito oppure insito nella categoria cui appartiene la strada) e se il limite di velocità fosse allineato al massimo previsto per la categoria cui appartiene quella strada. Se già il limite fosse più basso, darei più colpa all'automobilista. Ancora di più ne darei se non ci fosse alcun divieto di transito per pedoni, perché in qualche modo occorre tenere conto della possibilità che ne spuntasse uno; se poi ci fosse pure il limite di velocità basso, tutta la responsabilità la darei al guidatore.