Entriamo anche noi nel caso Marrazzo. Non per parlare di ciò che dicono tutti o – come qualcuno mi chiede – per raccontare qualcosa di quando bazzicavo Mi Manda Raitre ai suoi tempi: non ho granché da raccontare, se non il dispiacere umano per questa storia. Voglio parlare del caso perché oggi ho letto sul Corriere della Sera la ricostruzione della morte di Gianguerino Cafasso, descritto da tutti i media come cocainomane e spacciatore pregiudicato che riforniva i trans di quelle maledette strade di Roma nord dove tutto è accaduto (se poi alla fine la sua memoria ne uscirà riabilitata, ne darò conto). Secondo il Corriere, tra gli effetti personali ritrovati dagli agenti intervenuti sul luogo del decesso, ci sarebbe stata anche la patente di Cafasso. Dettaglio in apparenza irrilevante. Ma i tossicodipendenti conosciuti come tali dovrebbero subire la revoca della patente. E qualche limitazione dovrebbero subirla i delinquenti abituali per i quali la licenza di guida sia ritenuta strumento per commettere altri reati (per quanto la revoca automatica prima prevista dall'articolo 130 del Codice della strada sia stata dichiarata incostituzionale).
Prima di sparare giudizi di fuoco sull'inefficienza del nostro sistema, bisognerebbe vedere nel dettaglio quale fosse la situazione di Cafasso per come risultava negli atti ufficiali in possesso di Motorizzazione e Prefettura. Ma già il fatto che un cocainomane riconosciuto avesse la patente in tasca non è bello. E conferma che quando si va per strada c'è un pericolo ancora più occulto degli altri, da cui dobbiamo guardarci con una guida più difensiva di quella che già ci sembrerebbe tale: la presenza di tossicodipendenti. Ve ne parlai nel post "Il tossico della corsia accanto", scritto nella sezione "Alcol e droga" un annetto e mezzo fa dopo quel documentario-choc di Raitre che documentava quanto sia diffusa la droga tra le persone normali di Milano e dintorni. Ora non posso che ricordarvi tutto ciò.