Non tutte le ciambelle riescono col buco. Di solito, per portare avanti i propri interessi di bottega ammantandoli con l'interesse generale, basta lanciare una dichiarazione più o meno roboante e verosimile: i media se la berranno e tra i professionisti della politica e della pubblica amministrazione chi deve capire capirà (e, soprattutto, si adeguerà). Lo fanno tutti, sempre. Ma stavolta a Enrico Gelpi è andata male: giovedì scorso, in qualità di presidente dell'Aci, ha detto in audizione al Senato che il sistema della targa personale previsto dal Ddl di modifica al Codice della strada attualmente in esame darebbe problemi di sicurezza e sabato è stato sbugiardato dallo scandalo delle migliaia di auto intestate a prestanomi scoperto a Roma ed esteso ovunque in Italia (Scarica Scandalo plurintestatari).
Che c'entrano le parole di Gelpi in commissione al Senato con questo scandalo? In sostanza, Gelpi ha parlato contro il sistema della targa personale perché renderebbe difficile l'accertamento della proprietà di un veicolo, favorendo così chi usa il mezzo per commettere reati o semplicemente per sottrarsi a obblighi (bollo) e responsabilità (su multe e incidenti) connessi all'uso del medesimo. O, più "innocentemente", per risparmiare sull'assicurazione, accreditando un profilo cui si applicano tariffe inferiori (soprattutto se si abita nel Mezzogiorno, sempre penalizzato dalle compagnie, come scrivo anche oggi sul Sole-24 Ore Sud). Peccato che già oggi – e da decenni – sia già facilissimo intestare il proprio veicolo a prestanome, eludendo già obblighi e responsabilità nonostante dal 1927 ci sia una pluralità di "guardiani" (notai – che solo da quattro anni possono essere sostituiti da titolari di agenzie di pratiche e impiegati comunali – e Pra). Lo hanno già insegnato vari casi di cronaca (ce li ho in archivio) e l'ho già spiegato in tutte le salse nel corso degli anni. Sintetizzando, oggi si può fare qualsiasi tipo d'intestazione perché basta avere in mano il certificato di proprietà di un veicolo (e lo si può ottenere anche per duplicato, simulandone lo smarrimento), dichiararsi proprietario (anche se il proprio nome non compare sul documento), indicare le generalità dell'acquirente (consapevole o ignaro che sia, perché la procedura non prevede che egli sia presente al momento del passaggio di proprietà) e firmare. Infatti, per legge il compito del notaio e dei suoi "sostituti" è solo quello di accertare che la firma sia effettivamente quella di chi si dichiara proprietario e venditore del veicolo.
Non vi sembra un po' poco? E, soprattutto, non vi sembra che questa pochezza sia di un'evidenza lampante? E allora perché Gelpi, che certamente conosce questi problemi (la sua carica è un osservatorio privilegiato sulla materia), nelle audizioni non ne parla nemmeno quando il suo discorso cade sull'argomento-sicurezza e truffe sulla proprietà? E perché il "suo" Pra – che può individuare i pluri-prestanome in mezz'ora lanciando una semplice ricerca in banca dati – ha aspettato che per legge (ad agosto scorso) gli si imponesse di segnalare i casi sospetti (cioè gli intestatari di oltre 10 veicoli) alle Finanze? Non poteva farlo spontaneamente, sulla base del principio costituzionale del buon funzionamento della pubblica amministrazione o della semplice diligenza richiesta in qualunque umana attività? Azzardo una risposta: la vera preoccupazione di Gelpi (magari non personale, ma in quanto presidente Aci) è quella di salvare il Pra (gestito dall'Aci, che vi fa lavorare buona parte del suo personale e ne trae buona parte dei suoi introiti) dagli attacchi di chi vuole abolirlo e per questo presenta ogni tanto una proposta di legge. La targa personale verrebbe tanto avversata proprio perché potrebbe dare una spallata al Pra: nel discorso di Gelpi si dice che darebbe problemi di sicurezza, ma non si dimostra bene perché.
Fin qui, forse siamo anche nell'ovvio: ognuno difende il suo posto di lavoro come può (anche noi giornalisti). Ma la vicenda ha anche un lato davvero stupefacente: dopo l'audizione di Gelpi, il presidente della commissione senatoriale davanti a cui ha parlato gli ha dato ragione, aggiungendo che sulla targa personale "c'è qualche perplessità" e che "anche polizia e carabinieri si stanno chiedendo quale ne sia l'effettivo vantaggio" (cito dall'agenzia Apcom). Questioni personali a parte (quel presidente è Luigi Grillo, coinvolto nelle vicende bancarie di Fazio e Fiorani e ora dirottato a occuparsi di lavori pubblici e trasporti, dove non ho mai sentito un addetto ai lavori descriverlo come persona competente sulla materia), stupisce che le forze dell'ordine abbiano da ridire sulla targa personale e non sull'attuale sistema, che ha loro creato problemi per decenni. Possibile che al ministero dell'Interno nessuno abbia mai fatto presente il problema col dovuto impegno? Possibile che anche la norma di quest'estate sulla segnalazione obbligatoria oltre i 10 veicoli sia stata approvata per iniziativa di un ex-Finanze come il senatore-assessore Maurizio Leo? Possibile che in questa fase delicata l'unico uomo in divisa a prendere una posizione pubblica sull'argomento sia il colonnello dei vigili di Roma che ha indagato sull'ultimo scandalo dei prestanome (leggete gli ultimi due allegati che vi ho attaccato sopra)?
No, c'è qualcosa che non torna.