Se siete automobilisti appassionati e coscienziosi, immagino che almeno una volta abbiate cercato di comprare una vettura equipaggiata per integrare i dispositivi portatili che ormai abbondano nelle nostre tasche (quasi costringendoci a tornare ai vituperati borselli "porta-autoradio" degli anni Settanta): cellulari, I-pod, lettori Mp3 e navigatori. Per integrazione intendo fondamentalmente un collegamento bluetooth che consenta di parlare col vivavoce dell'auto e di usare i vari dispositivi con comandi vocali e al volante, seguendo le indicazioni del loro display ripetute sul cruscotto, nella strumentazione dell'auto. Il tutto per usare nel modo meno distraente possibile questi dispositivi anche durante la guida (fermo restando che in nessun caso si deve esagerare, anche quando i comandi funzionano a meraviglia). Immagino pure che vi siate arresi: è impossibile trovare un modello di vettura in grado di interfacciarsi senza problemi con tutti i nostri dispositivi personali (che i tecnici chiamano "nomadic devices"). Ora vi spiego perché.
Come ho potuto scoprire durante un interessante intervento di Massimo Galdo (del Centro ricerche Fiat) alla conferenza dell'Ata (Associazione tecnica dell'automobile) tenutasi a maggio a Torino, è un problema di cicli di vita dei prodotti: un'auto resta sul mercato per un periodo compreso trai 5 e i 10 anni (più frequentemente 6-7), un nomadic device appena 2-3 anni. Potrete obiettare che le tecnologie che animano degli apparecchi (per esempio il Symbian dei cellulari) non cambiano altrettanto spesso, ma la loro vita è comunque imprevedibile e il loro funzionamento può anche variare da un modello all'altro di quel tanto che basta per mandare in tilt l'integrazione con la vettura.
In pratica, l'unica cosa che possono fare i progettisti di automobili è individuare una tecnologia verosimilmente destinata a essere più diffusa e duratura di altre e scommettere su quella. Tutto sarebbe più facile se l'industria dell'auto e quella dei nomadic devices si parlassero di più, in modo da coordinare un minimo le rispettive mosse.
Ma i problemi non finiscono qui: i nomadic devices bisogna anche piazzarli in auto in modo minimamente sicuro. E invece abbiamo ancora fior di modelli (anche Bmw, per fare un nome eccellente) su cui è impossibile persino trovare un piccolo portaoggetti per appoggiare il cellulare senza che scivoli via alla prima curvetta. Né sono soddisfacenti i supporti universali: per esempio, quanti piazzano la ventosa del navigatore portatile stando attenti che non interferisca con la traiettoria di apertura dell'airbag, l'aria che esce dalle bocchette e i pulsanti di vari comandi (tra cui ci può essere persino il lampeggiatore d'emergenza)? Qui credo che la copla maggiore sia delle case: non è così difficile inventarsi supporti integrati nelle plance, come hanno dimostrato per prime quelle intelligenti fessure che su alcune Toyota Yaris consentono di incastrare perfettamente il navigatore, ricaricandolo pure. Certo, se i produttori di nomadic devices concordassero anche un formato standard (come le autoradio di una volta), sarebbe ancora meglio.