Quarantacinque interlocutori sono troppi. Sia per mantenere il segreto su ciò che si dice nelle riunioni sia per far ritenere che davvero una concertazione così allargata possa portare a una riforma condivisa. Così, chiunque voglia e possa fare il giornalista come si dovrebbe da un lato può sapere tutto di questi incontri (per i quali, come ho preannunciato sul Sole-24 Ore di mercoledì scorso, il ministero delle Infrastrutture ha convocato appunto decine di soggetti coinvolti nelle problematiche stradali per concordare entro la fine dell’inverno un testo di legge-delega per la riforma del Codice della strada). Dall’altro lato, può capire che alcuni partecipanti alle riunioni si sono già fatti un’idea precisa: il ministero ha già pronta almeno una bozza di massima e ha indetto questi appuntamenti soprattutto per non dare un’impressione di troppo decisionismo su materie in cui gli interessi contrapposti sono molti. Tanto che negli anni passati sono state stoppate altre corpose modifiche al Codice e sono invece spuntate novità di dettaglio pressoché inaspettate. Succede, quando le lobby scendono in campo per un confronto che arriva sempre all’ultima astuzia: ormai tutti si districano bene tra i contatti con deputati e senatori e i trabocchetti dei regolamenti parlamentari, che fuori dal Palazzo nessuno conosce. E succederà anche in questa tornata, che durerà almeno due anni. Quindi prepariamoci a un lungo periodo di notizie di segno alterno.
Comunque, nelle riunioni di questi giorni al ministero, qualche dato interessante sta emergendo.
Per esempio, quello portato dall’Ania (l’associazione delle assicurazioni), che ha chiesto – oltre alla prova pratica per il patentino – una patente specifica per quadricicli perché ben il 14% di quelli che circolano resta coinvolto in incidenti (è il doppio della media nazionale riferita a tutti i veicoli). O quello portato dall’Aiscat (l’associazione dei gestori di autostrade), che chiede lezioni di guida anche fuori città (dovrebbero già esserci da un pezzo, ma la Motorizzazione è ridotta com’è ridotta) perché sulla loro rete il 40% delle persone muore in incidenti con un solo veicolo (quindi dovuti a semplice perdita di controllo).
Sempre l’Aiscat ha chiesto più controlli su alcol e droga. Ufficialmente perché in autostrada quasi sempre chi guida in stato di ebbrezza sarebbe gravemente ubriaco (sopra gli 1,5 grammi/litro, triplo del limite consentito e soglia oltre la quale scattano le sanzioni più pesanti tra cui la confisca del veicolo). Ma io sospetto ci sia anche un messaggio per la Polizia stradale: nessuno lo sa ma quest’anno, per raggiungere il record di controlli anti-alcol, sono stati impiegati sulla viabilità ordinaria anche agenti delle sottosezioni autostradali, che normalmente sono dedicati proprio alle autostrade e in parte sono pagati proprio dai gestori (ricevono una piccola indennità e, soprattutto, hanno veicoli, caserme e alcune attrezzature fornite da loro anziché dallo Stato).
Infine, una curiosità: il settore Trasporti della Confartigianato ha sollevato il problema di come contare i tempi di guida e riposo dei mezzi pesanti (scanditi con precisione dalla normativa europea e controllati con il cronotachigrafo) quando l’autista è musulmano. Infatti, durante il Ramadan (di solito, un mese a cavallo tra ottobre e novembre) i musulmani si astengono da ogni attività fino al tramonto.