Ho aspettato un mese e mezzo prima di scrivere questo post. A inizio ottobre ho fatto un corso di guida sicura (il terzo, a quasi dieci anni di distanza dagli altri due) ed è stata una piccola tragedia: sulle manovre di emergenza ho riacquistato l’allenamento abbastanza facilmente, ma nei giri di pista credo di essere stato disastroso. Andavo troppo piano o troppo forte e spesso non azzeccavo le traiettorie giuste, nonostante sapessi benissimo come determinarle e fossero pure segnate con birilli sui cordoli. Possibile? In fondo, era la stessa pista su cui avevo fatto il primo corso e me la ricordavo abbastanza. Da quel giorno mi sono molto concentrato durante la guida, per capire i motivi del flop. Ora un’idea me la sono fatta: non sono un pilota provetto, ma il problema principale è che la pista è troppo diversa dalla strada.
La stessa conclusione che avevo tratto dieci anni fa e che vi avevo già riportato in qualche post. Ma stavolta l’ho approfondita. Ecco il risultato.
In pista non hai alibi, devi guidare in modo perfetto: gli istruttori – dopo averti fatto vedere come guidano loro – ti chiedono di capire la velocità giusta per entrare in curva (scordatevi i riferimenti che avete imparato su strada, la larghezza diversa nel nastro asfaltato e l’assenza di strisce cambiano tutto), frenare di conseguenza, sterzare per raggiungere il punto di corda nel modo più fluido possibile, dosare l’accelerazione in uscita, valutando se farla piena o parziale (quando c’è un’altra curva molto vicina, per cui devi avere avere occhi e testa proiettati in avanti).
Su strada non puoi farlo. Non solo perché c’è la variabilissima presenza degli altri a impedirti di accelerare e frenare come, quanto e quando necessario, ma anche per una questione di visibilità: in pista vedi quasi sempre tutto, su strada ci sono ostacoli a dozzine. Camion e auto fermi o in movimento, alberi, pareti rocciose, guard-rail e chi più ne ha più ne metta. Non solo: negli ultimi anni, si sono diffusi guard-rail che sporgono verso la sede stradale, per cui – soprattutto nelle curve a destra – non è così facile andare a "fare il pelo" al punto di corda, che già di per sé è quasi sempre irraggiungibile perché la parte più laterale di una carreggiata è ben più sporca e scivolosa rispetto all’area di traiettoria di una pista. Senza contare che ci sono curve stranissime come gli svincoli, più prolungati di ogni curva da pista e mai uguale l’uno all’altro. Nemmeno la auto sono una uguale all’altra: in pista magari hai una sportiva che fa agilmente curva e controcurva, su strada puoi avere una station wagon di cinque metri e sospensioni morbide che dopo la prima curva ci mette un bel po’ ad assestarsi per la seconda e quindi impone di aspettare, rallentando il ritmo. Infine, c’è il comportamento spicciolo: per esempio, devi mettere la freccia anche se questo ti scombina la perfetta posizione della mani sul volante, scegli la marcia soprattutto in base a rumore e consumi (e cioè stai uno o due rapporti più in alto che in pista) e così via.
Non voglio dire che guidare in pista non serva a nulla: ti dà comunque un modello da seguire. Che però poi devi adattare alla strada e per farlo devi essere diventato davvero padrone sia della pista sia del mezzo, cosa che non si fa certo in una giornata di corso. Tra l’altro, in pista devi anche resistere alla tentazione di esplorare il limite di aderenza, cosa che se hai un minimo di intelligenza non puoi fare in autostrada e che in pista ti fa derapare in continuazione, risultando tanto più lento quanto più vuoi correre.