Era inevitabile: un po’ l’estate, un po’ i gravi incidenti di questi giorni spingono i miei colleghi a fare reportage che descrivono le autostrade e le principali statali come percorse da assatanati della velocità. Tutto vero: proprio oggi pomeriggio parlavo con l’ex-pilota di Formula 1, Ivan Capelli, che ha guidato in tutto il mondo e me lo confermava. Ma lui probabilmente si riferiva alle scorrettezze di guida in generale. Quelle che mi fanno da sempre dire che la patente a punti non è servita.
Un esempio per tutti: ieri sera a mezzanotte, nella stradina sotto al mio ufficio, ho visto un’utilitaria contromano, con padre e madre con figlio in braccio a pochi centimetri dall’airbag, tutti senza cinture. Il padre procedeva con circospezione, appunto da buon padre di famiglia, e probabilmente nemmeno è stato sfiorato dall’idea che ciò che stava facendo – se ci fosse ogni tanto uno straccio di controllo – gli sarebbe potuto costare 15 punti (cioè quasi tutta la patente), la salute e la perdita di un figlio neonato. Quello stesso padre, però, sarebbe probabilmente stato pronto a scandalizzarsi leggendo i reportage sulla pirateria autostradale. Non solo perché lui quelle cose non le fa, ma anche perché articoli del genere inducono indirettamente a credere che si può fare un incidente solo se qualcuno (magari ubriaco o drogato) corre come un pazzo. Un messaggio distorto.