L’altro ieri sul Sole-24 Ore del Lunedì ho dato conto dell’ultimo studio europeo dell’Etsc sulla mortalità in autostrada. Non so se in quelle poche righe si sia capita tutta la complessità del problema: per esempio, ci sono Paesi dove i limiti di velocità vengono alzati e succede una catastrofe, mentre in altri l’aumento non ha conseguenze.
E non è solo una questione di velocità, ma anche di sicurezza intrinseca dell’infrastruttura. Al punto che l’Etsc auspica che passi una direttiva che impone apposite verifiche per tutte le strade che fanno parte della rete europea (i principali itinerari del continente): in mancanza di esse, la Ue non dovrebbe erogare la sua quota di finanziamento ai lavori per costruire o ammodernare queste strade.
Il caso più clamoroso è quello della Danimarca: nell’aprile 2004 il limite generale sulle autostrade è stato portato da 110 a 130 (da 70 a 80 per i mezzi pesanti, per evitare un’eccessiva differenza di velocità tra le varie categorie di veicoli, che è sempre pericolosa perché crea di fatto due mondi coesistenti sulla stessa strada) senza che s’interrompessero i miglioramenti del tasso di mortalità, che hanno fatto del Paese uno dei migliori d’Europa. All’altro capo della classifica c’è l’Ungheria, dove un aumento di soli 10 km/h (da 120 a 130) ha fatto precipitare una situazione già negativa. Come mai? La differenza sembra innanzitutto legata ai controlli: in Danimarca ci sono, in Ungheria no. Tanto che molti guidatori ungheresi "dimenticano" persino di allacciare le cinture (cosa che in autostrada, bene o male, si fa persino in Italia). Sull’assenza di controlli battono anche le autorità slovene per spiegare la cattiva posizione in classifica del loro Paese. E quelle inglesi per sottolineare che, se da loro la mortalità è stata ridotta di poco nell’ultimo decennio, è perché era già bassa 10 anni fa e nel frattempo le autostrade più controllate sono diventate sempre più trafficate (quindi lente), mentre sulle altre si scorre meglio e ci sono meno controlli.
Da notare che comunque molte autorità nazionali parlano di eccessi di velocità diffusi, a prescindere dal fatto che nel loro Paese i controlli siano capillari o meno: se ne lamentano persino i francesi, che negli ultimi cinque anni hanno disseminato la propria rete di postazioni fisse e fatto vere e proprie campagne terroristiche nei confronti dei conducenti. Penso che questo si spieghi col fatto che non si distingue secondo la gravità dell’eccesso: in pochissime altre parti d’Europa è possibile vedere tante auto sul filo dei 200 all’ora come sulle autostrade italiane (perlomeno quelle dove non c’è ancora il Tutor).
Ma la velocità non è tutto: gli stessi inglesi, per esempio, ammettono che non riescono ancora a capire perché negli ultimi anni – a fronte di velocità medie rilevate che sono rimaste pressoché stabili – si siano ridotti solo i casi di ferimenti gravi e non anche quelli di morte. In Olanda si sa che molto dovrebbero aver contribuito i sistemi Its, in grado di rilevare automaticamente una situazione di pericolo (per esempio, un incidente) e di segnalarlo immediatamente con pannelli a messaggio variabile a chi sopraggiunge. In Spagna, dove la mortalità resta alta, si nota che il 40% degli incidenti mortali avviene per uscita di strada di un singolo veicolo, il che probabilmente si deve anche alla velocità, ma molto più probabilmente si potrebbe evitare migliorando i guard-rail: lì hanno cominciato su larga scala a controllare anche il grado di sicurezza delle infrastrutture e per ora hanno scoperto che più del 50% delle autostrade e superstrade verificate ha margini di miglioramento strutturale, soprattutto a livello di guard-rail. Mi sembra un’altra lezione che gli spagnoli danno a noi italiani.