Non prendetemi per uno che difende sempre e comunque le forze dell’ordine. Certo, in molti post (compreso quello dell’altro giorno sulla tragedia di Arezzo) vi spiego le loro ragioni. Ma lo faccio semplicemente perché spesso il normale cittadino non può conoscere davvero tutto quello che c’è dietro il comportamento di un agente. E, quando c’è da dare addosso agli uomini in divisa, non mi tiro indietro. L’ho già fatto in passato, ma voglio tornare a farlo adesso, rispolverando un episodio dello scorso agosto e un malcostume di cui mi sono accorto all’inizio dell’estate. Non ve ne avevo scritto prima perché non ne ho mai avuto il tempo: come giustamente ha spiegato ai lettori del suo blog il mio collega del Sole-24 Ore Nicola Borzi, ciò che mi dà da vivere resta pur sempre il fatto di essere impegnato nella realizzazione di un giornale…
L’episodio di agosto riguarda una pattuglia della Stradale che, un bel venerdì sera (quindi con traffico misto di camion, vacanzieri inesperti e pendolari del weekend), ha avuto la bella idea di far accostare un autocarro sulla corsia di accelerazione che immette dalla fine dell’A14 sulla statale Appia. Un punto già pericoloso di suo (la rampa che scende dall’autostrada è in forte discesa e ha un raggio di curvatura che più si procede e più si stringe), da dove sono costretti a passare tutti i veicoli che devono proseguire verso Calabria e Sicilia. Insomma, alcuni guidatori già stanchi per un venerdì di stress passato in autostrada e inebetiti dalla noia del lungo e rettilineo tratto pugliese (su buona parte del quale, tra l’altro, vigila il Tutor) si sono trovati nel giro di pochi secondi una curva pericolosa e un autocarro piantato sulla corsia di accelerazione. Con l’aggravante che gli agenti non indossavano i giubbotti riflettenti e avevano parcheggiato l’auto di servizio davanti all’autocarro, in posizione invisibile per chi sopraggiungeva da dietro. Le uniche due (lievi) attenuanti che possono essere loro riconosciute sono il fatto che le prime vite in pericolo erano proprio le loro e che in quel tratto non ci sono molti spazi per far accostare un autocarro.
Quanto al malcostume di cui mi sono accorto in estate, provate a buttare un occhio alle auto più nuove in dotazione alle forze dell’ordine. Troverete le cinture di sicurezza allacciate anche quando dentro non c’è nessuno Perché? Quelle auto, come buona parte dei modelli recenti, ha un cicalino che suona in modo insistente e fastidioso quando qualcuno (generalmente, gli occupanti dei sedili anteriori) non allaccia le cinture durante la marcia (è un modo per guadagnare punteggio nei test Euroncap che danno le famose stelle nei crash-test, ve l’ho già raccontato nella sezione “Le colpe dei veicoli”). Così ora alcuni automobilisti furbetti (come se il cicalino non suonasse per il loro bene), specie al Sud, si siedono sopra le cinture e le lasciano sempre allacciate. Che facciano così anche le forze dell’ordine è un pessimo esempio. Anche perché gli agenti sono obbligati anche loro ad allacciare le cinture, salvo in casi d’emergenza (ma dev’essere emergenza vera, come ha sottolineato più di una circolare del ministero dell’Interno). Senza contare che, se avesse allacciato le cinture, forse il giudice Falcone sarebbe scampato all’attentato di Capaci: morì non per gli effetti diretti della bomba, ma per l’impatto della testa contro il volante. Alcuni uomini delle forze dell’ordine queste cose le hanno capite e hanno anche imparato come indossare le cinture senza creare interferenze con la pistola e altri elementi del loro abbigliamento (che non è del tutto pratico). Ma gli altri loro colleghi sembra che vivano in un mondo a parte e continuano a non allacciarsi.