Anche oggi è arrivata la notizia di un pedone ucciso da un’auto guidata da una persona ubriaca (pare avesse nel sangue un tasso di alcol quadruplo rispetto al massimo consentito); stavolta è successo a Genova. Poche ore dopo, si è saputo che il protagonista di un fatto analogo che aveva indignato l’Italia meno di un mese fa (la morte di una ragazza che attraversava la strada davanti a una discoteca di Pinerolo) è uscito di prigione. In barba ai giri di vite e alla tolleranza zero. Incredibile? No: è tutto normale. Ecco perché.
Il primo problema l’ho parzialmente spiegato nel post prima di questo (“Nuove multe, ecco perché i conti non vi tornano”, datato 6 agosto): la guida in stato di ebbrezza non prevede pene tali da superare la soglia oltre la quale anche un incensurato – in base alle complesse e “perdoniste” regole della procedura penale italiana – che venga condannato finisce davvero in carcere. Nemmeno ora, col giro di vite introdotto dal decreto Bianchi. Insomma, ci si sporca la fedina penale ma si resta a piede libero. E si continuerà così fino a quando i politici che introdurranno inasprimenti di pena non varcheranno il limite oltre il quale si finisce davvero in carcere (o classificheranno la guida in stato di ebbrezza come delitto e non più come “semplice” contravvenzione, cioè l’illecito penale più lieva), per cui i giri di vite resteranno virtuali.
Le condanne sono “virtuali” anche per l’omicidio colposo, tanto che il mese scorso molti magistrati si erano detti d’accordo sull’opportunità di contestare ai guidatori l’omicidio volontario. Il ragionamento è: se bevi da matti o ti droghi e poi ti metti al volante, non puoi non sapere che hai altissime probabilità di causare un incidente mortale”. Bene, oggi dal Tribunale del riesame di Torino è arrivata la prima sconfessione di questa linea. Con una sentenza che ora potrebbe dissuadere altri magistrati dal portare avanti le accuse di omicidio volontario in altri casi.