La carneficina dell’ultimo weekend non dimostra solo che i controlli antialcol sono pochi (si veda il post di oggi nella sezione “Alcol e droga”): l’elenco delle vittime dei guidatori che hanno bevuto è troppo lungo anche perché i passeggeri non usano le cinture posteriori e i seggiolini per bambini. Dunque, neutralizzare chi guida in stato di ebbrezza è per ora impossibile e l’unica contromisura per limitare i danni è usare cinture e seggiolini. Ma questo su giornali e telegiornali non lo trovate.
L’ultimo caso è quello dell’incidente dell’auto uscita di strada sabato sera a Treviglio (Bergamo): i cronisti hanno diligentemente riportato che si sono salvati solo gli occupanti dei due posti di solito più pericolosi – quelli anteriori -, senza spiegare il motivo di quest’apparente contraddizione. Molto probabilmente, tutto è dovuto al fatto che in Italia sui sedili posteriori non s’allaccia quasi nessuno, nonostante sia obbligatorio dal 26 aprile 1990 (avete letto bene, 1990). Le persone alle quali lo spiego, la maggior parte delle volte dichiara di non saperlo. Eppure non ricordo una solo campagna informativa condotta da enti pubblici sulle cinture posteriori.
L’altro episodio recente che dà tutta la misura della gravità della situazione è la morte dei tre bambini in un tamponamento sull’autostrada Caserta-Salerno venerdì 13 luglio. Titoloni del tipo “Guida ubriaco e uccide tre bimbi”, senza spiegare che:
– il tamponatore aveva un tasso alcolemico che fino a cinque anni fa – quando fu abbassato il limite consentito – sarebbe stato del tutto lecito (anche se resta pericoloso, com’è sempre l’alcol);
– i bambini viaggiavano in un’auto con a bordo più persone rispetto al consentito e quindi molto probabilmente non erano sui seggiolini.
Eppure l’Italia è stato uno dei primi Paesi a rendere obbligatori i seggiolini, nel 1988. Nell’aprile dell’anno scorso è stato introdotto un ulteriore giro di vite. Ma ancora oggi pochi sanno che devono usare questi accessori salvavita fino a quando i propri figli compiono 12 anni o arrivano al metro e mezzo di altezza. Giusto in questi giorni di caldo non è raro vedere bambini lasciati totalmente liberi che sporgono la testa dai finestrini (col rischio – al minimo urto – di essere sbalzati fuori o ghigliottinati) o tenuti in braccio (a pochissimi centimetri da un airbag che esplodendo – e può farlo anche per un banale difetto di funzionamento – potrebbe frantumare la loro testa).
Insomma, siamo davvero un popolo di trogloditi: facciamo viaggiare i nostri figli come trent’anni fa. Per giunta ignorando che nel frattempo i dispositivi di protezione (come l’airbag) fanno aumentare i rischi per chi non li usa correttamente.
Anche qui i mezzi d’informazione aiutano poco: per esempio, sui portali a messaggio variabile presenti sulle autostrade invitano a proteggere i propri bambini con la semplice cintura di sicurezza, che invece è studiata per gli adulti.