“Libera nos a camion”, titola a effetto il suo editoriale di questo mese Mauro Tedeschini, direttore di “Quattroruote”. Si riferisce al fatto che sulle autostrade viaggiano sempre più mezzi pesanti (un veicolo ogni quattro che passano), i quali sono coinvolti in un incidente mortale su due. Sono d’accordo, tanto che ho già scritto più volte (anche in questo blog, come il 16 marzo nella sezione “Mezzi pesanti” e il 30 maggio nella sezione “Furbate”) della pericolosità dei camion e del fatto che si fa troppo poco per arginarla. Ma attenzione: queste statistiche sono riferite ai mezzi pesanti in generale e quindi non solo ai camion. E ci sono categorie di mezzi pesanti che, quanto a pericolosità, non sembrano da meno. E’ il caso dei pullman granturismo di linea. Per darvi un’idea, stamattina sono stato superato da un bus che faceva la linea Salento-Roma: andava a 100 all’ora in pieno traffico (addio distanza di sicurezza) in corrispondenza di un brutto svincolo, esattamente nel punto della superstrada Adriatica dove c’è il limite di 50 e domenica è morto un ciclista (si veda il post “Quel limite sarà assurdo ma lì stamattina è morto un ciclista”, del 1° luglio). C’era ancora il mazzo di fiori a bordo strada. In caso d’incidente, contrariamente ai camion, qui non si rischia di uccidere chi si trova attorno: bus come questi possono trasportare 60 persone, molto spesso senza cintura (si veda il post “L’incidente di Vercelli e le leggi impossibili”, del 9 maggio).
Questi bus di linea sono una costante sulle strade di grande comunicazione, soprattutto al Sud: lo stato disastroso delle ferrovie e i costi competitivi su tratte senza troppi passeggeri (la corsa di un bus costa dieci volte meno di quella di un treno) fanno sì che non di rado le stesse compagnie ferroviarie abbiano (direttamente o indirettamente) una propria flotta di pullman. Il caso più clamoroso è quello della Calabria: come accertato un anno e mezzo fa dal Sole-24 Ore Sud, nemmeno i cantieri infiniti sull’autostrada Salerno-Reggio, l’apertura della linea ferrata al alta velocità Roma-Napoli e il rilancio dell’aeroporto di Lamezia hanno sottratto clienti ai bus che collegano la regione col resto d’Italia. Quindi questi bisonti sono e rimarranno ancora tanti.
Qualcuno obietterà che spesso sono mezzi moderni, ben tenuti e dotati di tutte lemigliori apparecchiature di sicurezza, tra cui limitatore di velocità e controllo elettronico della stabilità. Vero, ma il limitatore – anche quando non viene taroccato – non impedisce che si tengano andature spropositate in alcuni tratti (come il bus della Salento-Roma stamattina), perché agisce solo sulla velocità massima consentita in autostrada, che quindi può essere tenuta anche sulle strade normali. Quanto al controllo elettronico della stabilità, esso non è comunque in grado di correggere gli errori di autisti troppo imprudenti.
E di autisti troppo imprudenti ce ne sono sin troppi: basta appostarsi su un tratto appenninico per vedere bus che sembrano percorrere le curve su due sole ruote, per quanto sono inclinati. Questo è quasi nulla in confronto a quanto mi capitò nell’estate del 2000 sulla linea Napoli-Bari: alcuni albanesi avevano rubato un motorino e lo stavano portando in patria smontato, per poterlo occultare in un paio di valigie. Ma avevano dimenticato di vuotare il serbatoio e così ben presto si iniziò a sentire puzza di benzina. Per evitare guai in una delle tante gallerie irpine (il rogo del tunnel del Monte Bianco era accaduto appena un anno prima e quindi un autista professionista avrebbe dovuto averlo impresso nella mente), chiesi all’autista di verificasse da dove veniva. Mi rispose che non era necessario e ne era tanto convinto che si accese una sigaretta. Poi, all’improvviso, cambiò idea: accettò di fare un controllo, ma lo decise subito dopo aver superato un’area di servizio. Così per fermarsi non trovò di meglio che la corsia d’emergenza, appena dietro una curva. Naturalmente si guardò bene dal fermare i passeggeri che si fiondavano verso il bagagliaio per capire se le loro borse fossero state sporcate dalla benzina (eppure non molto tempo prima una comitiva era stata travolta sulla corsia d’emergenza della Roma-L’Aquila in circostanze analoghe). Completò la performance telefonando al 113 (e non alla sottosezione competente della Polizia stradale), senza riuscire a riferire all’operatore la sua posizione esatta (eppure c’era un cartello che indicava il chilometro al quale eravamo fermi). Insomma, una serie di errori assolutamente inescusabili per un professionista che ha conseguito un’abilitazione specifica e che effettua la stessa linea tutti i giorni (i numeri telefonici delle sottosezioni e le chilometriche dovrebbe saperli a memoria). La dimostrazione che in Italia le abilitazioni sono solo pezzi di carta.
Se aggiungiamo gli autisti-fantasma che salgono a bordo solo per far vedere che ci sono due conducenti e gli autisti che assumono droghe (si veda il post dell’11 maggio nella categoria “Alcol e droga”), il quadro è completo. Libera nos a bus.