Come ogni domenica, i telegiornali danno risalto ai morti del weekend sulle strade. Ormai è quasi un rito cui siamo abituati. In questa ritualità, mi permetto di fare un commento sull’incidente che sembra il più banale della giornata: quello in cui ha perso la vita un ciclista sulla statale 16 Adriatica poco a sud di Bari. Quel ciclista stava percorrendo una superstrada che viene percepita da tutti i guidatori come un’autostrada. Una convinzione suffragata dal fatto che ci sono due carreggiate separate e che qui passa anche il traffico a lunga percorrenza che, uscito dall’autostrada A14 Adriatica, deve proseguire sulla costa per raggiungere il Salento, la Grecia, i Balcani e la Turchia (si vedano anche i post del 22 e del 30 maggio nella sezione “Strade e segnaletica”). Ma, proprio nel punto in cui è stato travolto il ciclista, quella superstrada ha un buco nero.
Infatti, c’è uno svincolo cortissimo contornato dai cancelli di ville, che poi proseguono per un altro paio di chilometri. Per questo motivo, c’è un limite di velocità di 50 orari. Un limite ritenuto poco credibile, proprio perché siamo su una superstrada che fa parte di un itinerario internazionale. Forse occorrerebbe alzarlo un po’ e introdurre una severa vigilanza.
Ma controllare è difficilissimo: c’è pochissimo spazio per piazzare un rilevatore di velocità. Infatti, i controlli sono rari e vengono effettuati “in acrobazia”. Insomma, di fatto è inutile che il prefetto quattro anni fa abbia inserito questo tratto tra quelli in cui – data la loro pericolosità e conformazione – sono consentiti controlli senza fermare immediatamente i trasgressori.
Alla fine, si può solo sperare nel buonsenso di tutti. Dei guidatori affinché rallentino e stiano attenti e di ciclisti e ciclomotoristi affinché evitino quel tratto (un paio di percorsi “quasi” paralleli ci sono),