Qualche settimana fa, un altro giudice di pace è salito agli onori delle cronache per alcune sentenze “contro” l’autovelox. Stavolta tutto è successo a Pavullo nel Frignano (sull’Appennino Modenese), per una questione che non è certo una novità: dalla fine degli anni Novanta prefetti e poliziotti se la prendono con molti giudici di pace ritenuti troppo “a favore” dei trasgressori e dal 2004-2005 vengono annullato multe perché – proprio come ha argomentato ora il magistrato di Pavullo – non è stata dimostrata la corretta taratura del velocimetro. Resta comunque l’interesse per i guidatori e i loro avvocati (dal punto di vista strettamente tecnico, invece, la mancanza di taratura non è una catastrofe, come spiegai sul Sole-24 Ore del Lunedì del 30 maggio 2005).
Ma quello su cui voglio attirare l’attenzione sono le circostanze in cui furono comminate le multe ora annullate dal giudice.
Stando a quanto è stato riportato dalle cronache (sono pronto a ricredermi se qualcuno dimostrerà che non sono esatte) i verbali erano arrivati a un gruppo di motociclisti ravennati che – come fanno molti appassionati di moto soprattutto al Nord – di sabato vanno a “tirare” su strade di montagna poco frequentate. Con gli anni, questi “raid” hanno seminato paura tra le popolazioni dei piccoli centri attraversati da queste strade. E sono costati la vita anche a qualche motociclista: mi è tornato in mente il caso di quel povero ragazzo ravennate morto nel ’96 sull’Appennino forlivese perché – per una questione di pochissimi centimetri – la sua testa finì schiacciata sotto un trattore che aveva l’impianto frenante irregolare.
Mi sembra che tutto questo riporti la questione di Pavullo alla sua giusta dimensione: di fronte a moto che sfrecciano, a bambini che di sabato non possono uscire di strada e a mezzi agricoli ingombranti e irregolari, mi sembra che la taratura di un autovelox sia poca cosa.