Lunedì scorso e quello prossimo, sul Sole-24 Ore del Lunedì, spiego che in Italia gli apparecchi antiautovelox da mettere in auto sono vietatissimi (multe da capogiro a chi li usa) e sostanzialmente inutili (i misuratori di velocità che si trovano sulle nostre strade sono di fatto a prova d’intercettazione). Ma, tra questi apparecchi, c’è una categoria che dà filo da torcere alla forze dell’ordine: i disturbatori, che “accecano” i raggi laser dei misuratori rendendo spesso impossibile rilevare la velocità. A volte gli agenti sono certi della loro presenza, perché è il loro stesso misuratore che ha una spia apposta per segnalarla; altre possono solo avere un sospetto, quando vedono che una misurazione è andata buca. In quest’ultimo caso, possono fermare il veicolo e andare alla ricerca dell’apparecchio disturbatore, che quasi sempre è nascosto dietro la calandra, vicino al radiatore.
Sorgono però due problemi.
1. L’automobilista può dichiarare che l’apparecchio era spento, cosa che lo rende non punibile (l’articolo 45, comma 9-bis del Codice della strada vieta l’uso, non la semplice detenzione dell’apparecchio). Così starà all’abilità degli agenti dimostrare che era acceso e persuaderne il giudice in caso di ricorso dell’automobilista contro la multa o di denuncia penale contro l’automobilista per interruzione di pubblico servizio.
2. Il Codice prevede tra l’altro la confisca dell’apparecchio, cosa che implica il suo immediato sequestro. Ma chi va a mettere mano vicino al radiatore per smontarlo? Gli agenti possono sempre portare l’auto del trasgressore in un’officina, ma se l’infrazione viene accertata in orari di chiusura è un bel pasticcio.