La settimana scorsa si è tanto parlato di sicurezza nelle città. La si è buttata in politica, enfatizzandone gli aspetti legati alla criminalità. Eppure ci sarebbe stato da parlare tanto anche di sicurezza stradale: giusto giovedì 17 maggio a Roma l’Etsc (European transport safety council) ha reso noto che in Italia incidenti, morte feriti in città aumentano, tendenza occultata dalla diminuzione che si registra da anni considerando il totale con la viabilità extraurbana. Inoltre, a Bari si discuteva molto, a causa della morte di un noto cantante locale, falciato col suo motorino alle undici di sera in pieno centro da una moto con a bordo due pregiudicati (di cui uno armato, a dimostrazione che tra ordine pubblico e sicurezza stradale c’è sempre un legame, si veda anche il post del 2 aprile sempre a proposito di Bari). Infine a Milano la Prefettura invitava tutte le forze dell’ordine del territorio a coordinarsi per garantire maggior vigilanza contro le stragi del sabato sera.
Tra tutte queste notizie c’è un filo conduttore: la patente a punti non funziona e, senza una riorganizzazione della vigilanza, continuerà a non funzionare. Ecco perché.
Tecnicamente la patente a punti serve per scoraggiare le violazioni sistematiche delle norme di comportamento su strada: colpisce con una decurtazione per ogni infrazione, per cui anche chi non ne commette di gravi ma ne accumula molte dovrebbe sapere che alla lunga rischia di perdere la patente. Questo è il tipico profilo del “furbetto da città”, che ormai corrisponde a moltissimi guidatori italiani ed emerge soprattutto in città, come confermano i dati Etsc sugli incidenti urbani. La patente a punti è servita soprattutto in extraurbano (dove si sa che ci sono più controlli), soprattutto riguardo a velocità e cinture di sicurezza. Ma questi risultati si sarebbero potuti probabilmente raggiungere semplicemente inasprendo le sanzioni e aumentando i controlli su velocità e cinture, evitando di mettere in piedi una macchina complessa come la patente a punti. Complessa da interpretare (tanto che dopo meno di due anni dal suo avvio era già arrivata la prima sentenza importante della Consulta) e da mandare avanti (se fosse più semplice, forse qualche agente potrebbe essere spostato dall’ufficio alla vigilanza su strada).
Per far funzionare la patente a punti, occorre che i guidatori si rendano conto di avere una ragionevole possibilità di essere puniti quando girano senza freccia, usano il cellulare tenendolo in mano, vanno a zig zag nel traffico eccetera. Tutti comportamenti che richiedono più vigili per strada, possibilmente non intenti a comminare multe per divieto di sosta. E schierati in forze anche di notte, per evitare bravate come quella dei due pregiudicati baresi e le stragi del sabato sera. Oggi mancano sia il personale per rafforzare i turni di notte sia i fondi per pagare i relativi straordinari. Senza quelli, iniziative come quella del prefetto di Milano difficilmente avranno successo.