Si fanno i lavori e poi non si verifica se sono serviti

Chi gestisce le strade non risponde praticamente a nessuno del proprio operato. Nemmeno a se stesso. Sono alcune delle convinzioni che mi sono fatto passando dai convegni del Siss, il Salone internazionale della sicurezza stradale tenutosi la settimana scorsa a Riva del Garda (Trento).

Nel convegno in cui la 3M ha presentato la sua nuova ricerca sulla segnaletica (i cui risultati erano stati anticipati nel Rapporto sicurezza stradale uscito col Sole-24 Ore del 27 aprile), è stata ribadita una realtà nota da tempo agli addetti ai lavori: gli enti di vigilanza (ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e Provveditorati regionali alle opere pubbliche) hanno poca forza per costringere gli enti proprietari delle strade a rimediare ai propri errori. I problemi stanno nella mancanza di vere sanzioni per chi sbaglia e nelle carenze di personale vigilante (se ce ne fosse di più, sarebbe possibile almeno fare più pressione sugli enti proprietari). Un fatto relativamente nuovo (o comunque meno noto al grande pubblico) è emerso invece proprio sugli enti proprietari: i loro errori non sono sempre dovuti alla necessità di risparmiare, anzi talvolta si stanziano fondi cospicui che però vengono sprecati.

Una dimostrazione delle spese che si riescono a fare (in questo caso senza sprechi, credo) viene dal Piemonte, dove l’Anas ha avviato particolari iniziative contro la nebbia: hainstallato speciali indicatori luminosi efficaci per indicare l’andamento della strada e predisposto lo schieramento di veicoli di servizio equipaggiati per essere più visibili e fungere da safety car.

Sul fronte degli sprechi, invece, in un altro convegno (organizzato dall’Aci) è emerso che spesso gli enti proprietari di strade intervengono con lo scopo di apportare miglioramenti (per esempio, costruendo rotatorie al posto degli incroci semaforizzati), ma poi non sanno se i loro interventi hanno davvero funzionato. Infatti, spesso manca un monitoraggio completo su traffico e incidenti prima e dopo le modifiche…

  • alexmrg |

    Dell’efficacia ed efficienza degli interventi infrastrutturali si discute dal lungo tempo: sarebbe necessario fare un poco di chiarezza e buona informazione.
    E. Hauer, brillante accademico d’oltre oceano, ha già da tempo osservato che l’analisi costi/benefici degli interventi infrastrutturali si presta a molte distorsioni e dunque molte errate conclusioni. Il motivo risiede nel fatto che l’evento “incidente”, a parità di ogni altra condizione, ha periodi di ricorrenza piuttosto lunghi e pertanto risulta difficile ottenere un campione significativo “before-after”, in particolare per assicurare l’invarianza delle condizioni al contorno che sono necessarie per mantenere la significatività statistica. Inoltre, ad oggi, non è ancora possibile una corretta individuazione di tutti i parametri causali, poiché non possono essere misurati tutti i fenomeni concorrenti nel momento dell’incidente.
    Provo a spiegare con un esempio: se tento una correlazione statistica tra velocità ed incidentalità è possibile che si ottenga una buona significatività. Ma ciò non significa che la velocità sia l’unico aspetto inferente (nel senso meccanicistico di causa-effetto) né che sia l’aspetto dominante della causalità: semplicemente, è possibile monitorare correttamente e facilmente la velocità mentre ci sfuggono tutti gli altri parametri che se pure ipotizzati qualitativamente, non possiamo misurare e di cui dunque non possiamo tentare correlazioni, che potrebbero anche dimostrarsi più significative della velocità stessa.
    La cosa non ha solo interesse accademico, molte anomalie della circolazione stradale non possono essere spiegate altrimenti.
    Cito un caso al riguardo: gli svincoli, che statisticamente hanno livelli di incidentalità superiori alla media della rete contigua. Per limitare gli effetti le Amministrazioni tendono a diminuire la velocità sulle rampe (a volte anche a 30 km/h). Ora, entrando nel tronco di accelerazione con una velocità così bassa, si rischia di non trovare uno spazio per immettersi nella corrente principale (in particolare ai livelli di traffico superiori) mentre lo si percorre. E’ ovvio che il rimedio è peggiore del male: infatti il rischio è quello di entrare nel flusso principale a velocità troppo bassa (tamponamento) oppure, come si vede a volte, il veicolo prosegue la corsa oltre il tronco di accelerazione sfruttando la banchina (veicoli che procedono affiancati con franchi minimi).
    Paradossalmente, il comportamento più sicuro è proprio quello contrario: aumentare la velocità sulla rampa (ignorando i limiti) in modo da giungere all’inizio del tronco di accelerazione con una velocità già abbastanza vicina a quella media del flusso principale e sfruttare tutto il tronco di accelerazione per trovare il punto di inserimento senza pericolose forzature.
    Ma immagino che la prassi di prolungare la corsia di accelerazione sia ignota alle Amministrazioni.
    [risponde Maurizio Caprino] Tanto ignota che fior di superstrade non si possono classificare strade extraurbane principali (e quindi, tra l’altro, restano col limite a 90 orari anziché 110) proprio perché alle corsie di accelerazione e decelerazione manca qualche metro. Comunque, anche se si trovassero i soldi per un allungamento, ricordo che molti guidatori – a prescindere dai limiti, che spesso sono la loro ultima preoccupazione – non sanno uscire veloci dagli svincoli perché sbagliano le traiettorie (si veda la sezione "Tutti a scuola" di questo blog).

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