Avete mai visto una multa per mancato rispetto della distanza di sicurezza? Non rispondete di no, perché i verbali effettivamente esistono. Solo che si riferiscono esclusivamente a conducenti responsabili di tamponamenti: vi sfido a trovare uno che sia stato multato senza aver provocato un incidente. Il problema è che i veicoli non hanno strumenti per misurare la distanza di sicurezza (a parte quelle poche auto di lusso recenti che hanno radar o altri dispositivi che fungono quasi da pilota automatico). Di conseguenza, il Codice della strada non detta criteri rigidi per calcolare la distanza di sicurezza: si limita a rimandare al Regolamento di esecuzione, che stabilisce genericamente che la distanza debba equivalere come minimo allo spazio percorso in un secondo, che è il tempo medio di reazione che passa tra la percezione di un pericolo e l’inizio della frenata per evitarlo. Così le forze dell’ordine non hanno criteri certi per comminare sanzioni a chi sta marciando troppo vicino al veicolo che precede. L’unico criterio che si può seguire resta quindi quello “a posteriori” rispetto a un tamponamento: è l’urto stesso a dimostrare (salvo prova contraria) che non si era a distanza sufficiente.
Che io sappia, solo in Israele hanno affrontato il problema con energia, imponendo la distanza di un secondo.
Nel 1999 si provò a pensare a qualcosa del genere in Italia: si stava omologando l’Autovelox 105, che può misurare non solo la velocità ma anche la distanza. Si obiettò che si rischiava di multare anche chi era in fase di sorpasso. L’apparecchio avrebbe potuto distinguere anche queste situazioni, per esempio cancellando le infrazioni in cui aveva rilevato una differenza di velocità sensibile tra veicoli successivi (segno probabile di sorpasso in atto). Ma si preferì lasciar perdere. Il motivo? Sempre il solito: per evitare contenziosi. Ancora una volta, quindi, si decise di concentrare l’azione repressiva sulla velocità.