Si sarebbe spostato di un paio di centimetri rispetto al previsto il cavalcavia dell’A14 crollato il 9 marzo uccidendo due persone a Camerano (Ancona) durante i lavori di rialzo per ripristinare la distanza dall’asfalto dopo l’ampliamento a tre corsie. Lo hanno detto ieri alla commissione d’inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro gli operai rumeni della Delabech, l’impresa cui Autostrade per l’Italia aveva subappaltato i lavori tramite la sua controllata Pavimental. Un fatto nuovo, che squarcia il velo di cose dette e non dette dai responsabili delle aziende coinvolte. Tanto che la presidente della commissione, Camilla Fabbri, ha segretato l’audizione per non compromettere la genuinità delle prove. Non si può ancora sapere se sia stato quello spostamento a essere fatale né se sia colpa di chi ha eseguito o progettato i lavori o di eventuali carenze di manutenzione del cavalcavia. Ma quel che è davvero importante è capire che il nocciolo forse sta nel modo con cui si assegnano i lavori in autostrada, che era stato reso più trasparente un anno fa dal nuovo Codice degli appalti e ora sta per tornare silenziosamente più opaco, con una novità sapientemente nascosta nei correttivi in arrivo.
Il problema è quello che avevamo sollevato in perfetta solitudine dopo la strage dell’A16 del 28 luglio 2013 (40 morti): i gestori appaltano direttamente a proprie imprese controllate (appalti in house), che subappaltano a piccole aziende terze con costi ridotti di circa il 30%. Un risparmio (sono soldi che restano tra il gestore e la sua controllata) che potrebbe essere occultato nei conteggi sul valore degli investimenti effettuati, tanto che da notizie di stampa di venerdì scorso finora non smentite è emerso che la Ue ha chiesto chiarimenti su come vengono contati questi investimenti. Un dato determinante per capire se il gestore rispetta gli impegni che ha preso con lo Stato in cambio dell’affidamento o della proroga della sua concessione che gli consente di gestire l’autostrada. Senza contare che al volume degli investimenti sono legati (in vari modi) i rincari dei pedaggi che il Governo autorizza ogni anno.
Non solo: poter scegliere liberamente i subappaltatori dà al gestore e ai suoi dipendenti più potere. Così tra i subappaltatori sono spuntate anche imprese collegate direttamente o indirettamente alla criminalità organizzata, che si sarebbero imposte sulla concorrenza grazie principalmente a regalie e che hanno anche usato documenti falsi per dimostrare di essere qualificate a farsi affidare i lavori. Alcuni fatti sono già emersi, altri sono agli atti di varie Procure (come Roma, Milano, Firenze e Napoli), che hanno dettagliate testimonianze rese da un ex dipendente di una di queste imprese, mai compromesso con la camorra e finora mai smentito. Ci sono stati dipendenti di Autostrade che sono stati trasferiti per questi episodi, ma secondo le accuse a verbale ci sono coinvolgimenti a livelli più alti e per vicende che toccano anche livelli politici. Quel che a noi qui interessa è che ci sono lavori assegnati così portano rischio di crolli, già verificatisi prima di quello che si è risolto in tragedia sull’A14. Quanto a quest’ultima, non risulta che la Delabech sia compromessa con la criminalità o abbia usato direttamente attestazioni false per dimostrare le proprie qualificazioni, ma fa capo a un gruppo napoletano cui non sono mancati legami politici e che l’anno scorso ha avuto un crac con conseguenze penali. C’è quindi da chiedersi razionalmente se fosse opportuna la scelta di affidarle una commessa delicata come rialzare una serie di cavalcavia su un’autostrada trafficata e regolarmente aperta al transito durante i lavori.
Per tutti questi motivi, il Codice degli appalti ha ridotto la quota di affidamenti in house consentita ai gestori autostradali. Ma stanno per entrare in vigore i correttivi che in molti casi faranno saltare questi limiti.