Camorra in autostrada – Cavalcavia di Ferentino ancora chiuso, cavalcavia di Tufino sotto pressione. Cosa dirà il ministro?

Ora sempre più gente si accorge dei "cavalcavia della camorra" in autostrada. Alla vigilia di Natale se n'è occupata la Rai con uno dei suoi solitamente sonnacchiosi telegiornali regionali: quello del Lazio ha dato conto delle indagini che stanno tenendo chiuso da quasi due mesi mezzo casello di Ferentino sull'Autosole (il cavalcavia, peraltro, è stato varato due volte, per problemi strutturali), confermando che alla direzione Distrettuale antimafia di Roma c'è il sospetto di soldi di camorra per comprare silenzi e che i tempi per la riapertura saranno lunghi. Stamattina la stampa locale parla, più esplicitamente, di possibilità di collaudi falsi. Un po' più a sud, a Tufino (Avellino), la popolazione fa arrivare sulla stampa locale le preoccupazioni per un cavalcavia sull'A16 costruito (con procedure d'urgenza adottate dalla Protezione civile per l'emergenza rifiuti) dallo stesso imprenditore sospettato di camorra con criteri che fanno temere problemi alla struttura o addirittura crolli.

Sono solo due casi tra quelli sotto indagine, in vari filoni e in varie città, anche al Nord.

Il riserbo delle indagini è, giustamente, totale. Ma almeno su Ferentino qualcosa si dovrebbe sapere: due deputati, a novembre Nazzareno Pilozzi (Sel) e pochi giorni fa Luca Frusone (M5S), hanno chiesto chiarimenti al ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. Sapremo perlomeno se Lupi, molto impegnato sul fronte delle nuove opere per Expo 2015 nella sua Milano (dove comunque le infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori pubblici non sono una novità, tanto che la prima denuncia sulla famiglia che ha lavorato in autostrada si riferisce a una megapasserella pedonale fatta a Cinisello Balsamo), intende continuare a fare muro di gomma sulla sicurezza delle autostrade, come sta facendo da fine luglio.

Intanto chi ha denunciato la camorra in autostrada ha passato il Natale in ospedale: a furia di dormire in auto davanti ai palazzi delle istituzioni per chiedere la protezione che spetta ai testimoni a rischio e ai collaboratori di giustizia, adesso il testimone Gennaro Ciliberto ha aggiunto ai suoi problemi di salute anche quello alla schiena. E, a 40 mesi da quando ha iniziato a denunciare i fatti, non si sa ancora se la sua richiesta di protezione sarà accolta. Si capisce solo che la pratica è passata da varie mani, che il ministero dell'Interno si dice pronto a far scattare la protezione e che manca l'ok della Procura di Napoli, competente sul luogo di cui Ciliberto è originario e in cui opera Mario Vuolo, l'imprenditore pregiudicato e sospettato di legami con la camorra dai cui uomini Ciliberto denuncia di essere stato minacciato.

Dalle lungaggini dell'iter, si potrebbe presumere che a Napoli ritengono queste minacce infondate o comunque non così gravi. Ma allora perché non prendersi la responsabilità di dirlo chiaro? Forse si ha paura di fare la stessa terribile gaffe che nel 2002 costò il posto all'allora ministro dell'Interno, Claudio Scajola? Il politico diede del "rompicoglioni" al professor Marco Biagi che stava studiando la riforma dell'ordinamento del lavoro e gli chiedeva, invano, una scorta. Finì con l'assassinio di Biagi da parte delle Brigate Rosse, sotto casa, nel pieno centro di Bologna.