Saranno periti e magistrati a stabilire quanta colpa abbia Autostrade per l'Italia (Aspi) sul fatto che il guard-rail del viadotto Acqualonga dell'A16 non ha retto all'urto del bus che lo ha colpito il 28 luglio, precipitando nel vuoto e uccidendo 40 persone. Ma una cosa è certa: quella barriera non era proprio "come nuova" e siamo in grado di documentarlo.
Questo è un pezzo della barriera e lo spuntone che si vede fuoriuscire dal calcestruzzo del new jersey al centro della foto è un tirafondi, cioè un ancoraggio del guard-rail a terra. Appare corroso, cosa che verosimilmente ne ha compromesso la resistenza. Intendiamoci: quel tipo di tirafondi è progettato per spezzarsi in caso d'urto, perché questo aiuta ad assorbire l'energia. Ma un tirafondi in quelle condizioni probabilmente lavora male.
In ogni caso, gli elementi più importanti che assicurano la "tenuta" della barriera sono gli attacchi tra un blocco di calcestruzzo e un altro. Perché quella barriera funziona come una catena elastica, che con l'urto viene tirata per poi tornare verso la sua posizione iniziale respingendo il veicolo. Durante la fase di tiro, gli attacchi sono molto sollecitati.
Non ho immagini che dimostrino inequivocabilmente che nella barriera che ha ceduto gli attacchi fossero messi male: difficile pronunciarsi su un new jersey urtato da un bus e caduto per 30 metri. Però posso dimostrare che sulla stessa autostrada A16 non mancano gli esempi di attacchi che mostranoi segni del tempo. Guardatene uno.
Bastava percorrere il tratto appenninico dell’A16 il giorno dopo la sciagura di Acqualonga per vedere non solo questo, ma anche new jersey con calcestruzzo ammalorato (con l’armatura di ferro che affiora e/o sbrecciato).
Evidentemente il gestore non riesce a tenere sotto controllo tutto o tarda nel sistemare le anomalie che riscontra.
Dovrebbero allora entrare in scena i controllori pubblici. Per decenni sono stati gli uffici periferici dell’Anas, la cui inerzia fu impietosamente messa a nudo dalla dettagliata relazione che il 24 gennaio 2006 un componente del suo collegio sindacale inviò ai suoi colleghi, stimando peraltro che, nel solo periodo 2002-2005, Aspi aveva investito appena 1.534.030.000 euro, contro i 3.486.227.000 previsti nel quarto atto aggiuntivo (che le prorogava la concessione) e ricavi netti da pedaggi stimabili in circa 8 miliardi (grazie anche ad aumenti tariffari superiori al 2% annuo, tranne che per il 2003).
In parte, Aspi è giustificata dalle solite pastoie italiane che bloccano le opere pubbliche. Comunque, ne nacquero polemiche, anche perché all’epoca stava per andare in porto la fusione tra Autostrade per l’Italia e la spagnola Abertis. L’allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, decise di citare la società davanti al Tribunale civile di Roma. La causa fu iscritta a ruolo il 18 dicembre 2006, ma restò al palo. Il 12 ottobre 2007 lo Stato rinunciava alle sue pretese e prorogava la concessione ad Aspi fino al 2038, in cambio – tra le altre cose – dell’impegno a mandare avanti la progettazione preliminare del potenziamento di alcune tratte (che potrebbe costare cinque miliardi) e di comunicare allo Stato entro il 30 novembre di ogni anno le manutenzioni ordinarie programmate per l’anno successivo.
Nel frattempo, Di Pietro aveva creato nell’Anas un superispettorato sulle autostrade, l’Ivca. Che però non ha fatto meglio dei vecchi uffici periferici, come dimostra il confronto tra le relazioni sulla sua attività e le carenze ancora visibili sulle autostrade. Talvolta è stata la magistratura a segnalare anomalie all’Ivca: la Procura di Torino, dopo che l’autista di un furgone morì carbonizzato nel marzo 2011, dopo due mesi inviò un rapporto sull’inefficienza della ventilazione in galleria e sui guard-rail non a norma sulla Torino-Bardonecchia (gestione Sitaf).
Addirittura, dal 30 settembre 2012. l’Ivca non ha più garantito le ispezioni di sua competenza, perché è stata fatta confluire nel ministero delle Infrastrutture (col nome di Svca), perdendo i compensi ai suoi tecnici per il lavoro fuori sede e 23 componenti. Ad agosto, col decreto del fare, è stato previsto un rinforzo degli organici: si farà un nuovo concorso, con tutti i tempi che ciò comporta.