La verità sta nel mezzo anche stavolta. Tra le clamorose denunce del gruppo Emissions Scandal e le raffinate tecniche di ridimensionamento delle accuse messe in campo dalle case automobilistiche con vari aiuti esterni, un’indagine statistica dice che probabilmente è bene tenere una linea mediana: è vero che il richiamo messo in atto dal gruppo Volkswagen sui motori coinvolti nel dieselgate non è del tutto risolutivo, ma i problemi che quest’azione di risanamento sta causando non sono così apocalittici come potrebbe sembrare. E comunque va tenuto conto che il richiamo non di rado riguarda vetture ormai lanciate verso od oltre i 200mila chilometri di percorrenza, una soglia intorno alla quale ben pochi proprietari spendono quanto necessario per assicurare una manutenzione perfetta; così diventa naturale che qualsiasi modifica possa causare problemi. Tanto più se parliamo di modifiche concordate tra il costruttore e la sua autorità nazionale, che sappiamo non essere entità così antagoniste come istituzionalmente dovrebbero e come la gente semplice si aspetterebbe: sono interventi concepiti come se tutti i motori fossero nuovi, giusto per “mettere le carte a posto”. Tanto poi non interessa a nessuna autorità il fatto che le vetture coinvolte nel richiamo vengano effettivamente risanate o no.
L’indagine è quella portata avanti in Belgio Italia, Portogallo e Spagna dalle associazioni di consumatori (in Italia, Altroconsumo) che hanno collaborato nel promuovere class action locali. Tra i proprietari di vetture del gruppo Vw che hanno aderito, lo scorso novembre è stato distribuito un questionario. Le risposte valide sono state 10.584, tra le quali il numero maggiore (3.849) viene proprio dall’Italia. I risultati sono in questi tre file:
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In sostanza, a parte la Spagna, una maggioranza – anche se non larga – degli automobilisti ha vinto la diffidenza nei confronti del richiamo e soprattutto la paura che l’intervento diminuisse le prestazioni o la piacevolezza di guida o aumentasse i consumi. Timori supportati anche dalla logica: visto che il richiamo consiste solo in aggiornamenti di software e – nei soli motori 1.6 – nell’aggiunta di un pezzo da pochi euro, perché mai il costruttore avrebbe dovuto barare nei test di omologazione se prestazioni e consumi fossero uguali a quelli ottenibili con una regolazione del motore del tutto regolare?
E infatti circa metà dei proprietari ha notato differenze in peggio rispetto a prima, prevalentemente aumenti di consumo e diminuzione delle prestazioni e/o della dolcezza di funzionamento del motore. Ma attenzione: si tratta di sensazioni personali. Non si può affermare che tutti gli automobilisti siano tutti incompetenti e visionari né che siano tutti provetti collaudatori. Di certo, alcuni di loro possono risentire dell’effetto-suggestione. Così il dato meno controverso pare quello degli scontenti del consumo, dando per verosimile che le stesse persone abbiano guidato allo stesso modo e nelle stesse condizioni sia prima sia dopo il richiamo.
Le sensazioni sembrano confermare i test con gli esiti meno rassicuranti tra quelli pubblicati finora. Nulla pare cambiato in modo drammatico, ma provate a dirlo a chi aveva speso anche più di 30mila euro per acquistare un’auto di un marchio blasonato, convinto di aver investito in qualità.
Dove ci si inizia a preoccupare seriamente è quando si legge che il 17% degli interpellati ha avuto problemi meccanici e il 15% ha visto accendersi sul cruscotto spie che segnalano malfunzionamenti. Ciò ha portato il 13% del campione a far effettuare una riparazione e un altro 10% a ritenerla necessaria, pur non avendola ancora eseguita. Parliamo comunque di una minoranza rispetto a quel 77% che dichiara che non c’è bisogno di ulteriori interventi. E questa minoranza ha dovuto intervenire su valvola Egr (ricircolo dei gas di scarico, nel 34% dei casi), iniettori (23%) e filtro antiparticolato (22%), cioè su parti che vengono sollecitate maggiormente dalle nuove regolazioni dell’iniezione.
In sostanza, ora il software fa aumentare il tempo in cui ricircolo nella valvola è attivo e fa partire più spesso la rigenerazione del filtro antiparticolato. Ma, se valvola e filtro sono vecchi e intasati. la strumentazione di bordo rileva anomalie e bisogna sostituire queste costose componenti. Tanto che la spesa media rilevata dall’indagine è alta: dai 745 euro dell’Italia ai 1.160 della Spagna. Un ruolo viene giocato anche dall’olio: ce n’è uno che favorisce la riduzione del particolato, giocando su viscosità (5-30) e contenuto di zolfo e fosforo.
Questo spiega almeno in parte perché, tra chi si è rivolto al costruttore per farsi rimborsare il costo delle riparazioni, solo una minoranza ha ottenuto che gli venisse coperto totalmente. E anche in questi casi il gruppo Volkswagen ha motivato il rimborso con la generosità, perché non ha mai ammesso di avere una responsabilità nell’inconveniente verificatosi. Da notare lo “scetticismo” degli italiani: tra chi ha dovuto effettuare riparazioni, appena il 17% si è poi rivolto al costruttore per lamentarsi e chiedere un rimborso. Siamo ben lontano dal 64% del Portogallo, dal 37% della Spagna e dal 30% del Belgio. Sarà che gli italiani hanno la coscienza più sporca o che le filiali italiane del gruppo Volkswagen hanno fama di essere restrittive?
La risposta è ardua: storicamente, gli italiani non sono abituati a fare seriamente la manutenzione, abituati fino al 1997 a revisioni solo decennali alla Motorizzazione e poi a controlli svolti da officine private in modo disinvolto. Per non parlare dell’abitudine a taroccare le centraline d’iniezione, coma ancora una volta ha dimostrato Quattroruote questo mese. Ma è anche vero che il gruppo Volkswagen in Italia è stato abituato per anni ad avere i clienti che facevano la fila per accaparrarsi i suoi prodotti, quindi – diciamo – non ha mai avuto troppo bisogno di corteggiarli.