Lo hanno scarcerato ieri ed è tornato a casa, in Spagna, Ilim Bildan. Parliamo del camionista 44enne rumeno che domenica 26 marzo ha travolto e ucciso due operai addetti a un cantiere sull’autostrada A10 tra Albisola e Celle Ligure (Savona). Delitto che ha suscitato sdegno e allarme, ma il camion aveva una copertura assicurativa congrua (50 milioni di euro) il camionista ha mostrato totale collaborazione con gli inquirenti.
Quindi non ci sono esigenze di custodia cautelare, con buona pace dell’arresto obbligatorio imposto dalla nuova legge sull’omicidio stradale. D’altra parte, non ci sono nemmeno i presupposti per far scattare le pene più dure previste da questa legge: Bildan è risultato negativo sia all’alcol sia alla droga.
Ora quindi il camionista ha commesso omicidio stradale, ma va probabilmente incontro alla pena più bassa possibile (da due a sette anni), che coincide con quella del precedente reato di omicidio colposo aggravato da violazione stradale; potrebbe in teoria rischiare la pena intermedia (da cinque a dieci anni) se si dimostrasse che stava percorrendo il tratto dell’incidente a una velocità di oltre 50 km/h superiore al limite. Ma uno sforamento di questa entità è difficile da realizzare con un camion, anche in un tratto in cui vigono i bassi limiti previsti quando ci sono i lavori in corso.
Questa è una delle incongruenze della legge sull’omicidio stradale: non prevedere trattamenti differenziati tra mezzi pesanti e leggeri quando l’incidente è legato alla velocità. Infatti, per un mezzo pesante è difficile superare i limiti nella stessa misura possibile ai leggeri e anche uno sforamento contenuto può causare danni gravi. Non a caso, l’articolo 142 del Codice della strada punisce l’eccesso di velocità con sanzioni differenziate tra pesanti e leggeri.
D’altra parte, non si può pretendere molto da una legge orientata soprattutto a mostrare di soddisfare il comprensibile desiderio dei familiari delle vittime a vedere l’omicida in carcere. In un caso come questo dell’autostrada, servirebbe invece tanta prevenzione in più. Per tanti motivi.
Il primo è che la Liguria è storicamente terra pericolosa per chi lavora in cantieri autostradali: le carreggiate sono spesso strette e, per evitare di chiudere o strozzare troppo l’autostrada, si limita l’area di cantiere il più possibile. Solo di notte, quando il traffico cala drasticamente, viene dato agli operai uno spazio più adeguato a separarli dai veicoli in corsa. Lo hanno denunciato i sindacati locali, raccontando una prassi che non ho riscontrato altrove. Così non è un caso se proprio in Liguria debuttarono i gabbiotti autovelox messi in corrispondenza dei cantieri, frutto di accordi tra gestori autostradali, sindacati degli operai e Polizia stradale.
Ma non di rado in Italia questi controlli sono finti: quelli veri sono difficili e costosi, perché quando gli spazi sono così ristretti, occorrono apparecchi sofisticati. Installati in postazioni fisse blindate, quindi con ulteriori costi. L’esigenza di questo tipo d’installazione deriva dal fatto che dovrebbe trattarsi di controlli automatici, quindi senza il presidio di agenti. Infatti, non ci sono agenti a sufficienza per pattugliare normalmente l’autostrada, figurarsi se se ne possono trovare anche per i cantieri. Peccato che, specie in passato, se ne siano trovati per attività più gradite ai gestori delle autostrade, come la vigilanza antirapina (che almeno per alcuni periodi ha consentito loro di risparmiare sui costi per vigilantes privati) o gli interventi per sbrogliare il traffico in caso di cantieri notturni mal segnalati che avevano creato ingorghi.
Occorrerebbe poi rendere più precisa la formulazione e migliorare l’attuazione del decreto interministeriale Lavoro-Salute-Infrastrutture del 4 marzo 2013 (che detta i “Criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare”), con migliori controlli anche su come sono allestiti i cantieri, formati ed equipaggiati gli operai eccetera. Ma anche qui di ispezioni se ne vedono poche (pochi ispettori e località spesso poco raggiungibili dai loro uffici). E nella riunione del 30 marzo convocata dal ministero delle Infrastrutture l’Aiscat ha sostanzialmente detto che non servono misure aggiuntive rispetto a quelle attuali.
Eppure ce ne sarebbe tanto bisogno: i sindacati e i poliziotti di pattuglia vedono a occhio nudo che gli operai sono un po’ lasciati a se stessi. Infatti, ci sono aziende che pur di lavorare praticano prezzi stracciati e offrono un basso grado di qualificazione, a dispetto delle attestazioni formali di cui sono regolarmente munite. Uno stato di cose probabilmente favorito dagli appalti in house, cioè dalla possibilità data ai gestori di scegliersi di fatto direttamente le aziende cui subappaltare i lavori. L’anno scorso c’era stata una stretta. Ora, nel silenzio generale, sta arrivando un allentamento.