Dieselgate, lo scontro in commissione d’inchiesta spiega lo scandalo. Che forse non è uno scandalo

Vanno avanti nell’indifferenza generale i lavori della commissione d’inchiesta del Parlamento europeo sul dieselgate. Ma gli aficionados possono vedere scene interessanti, come quella di ieri durante l’audizione di Segolene Royal audizione Ségolène Royal nega responsabilità, la big della politica francese che attualmente è seduta su una delle poltrone che scottano: quella di ministro dell’Ambiente. La Royal ha respinto qualsiasi ipotesi di responsabilità della Francia sul dieselgate. E ci sarebbe da crederle, a giudicare dal blitz ordinato da lei stessa lo scorso gennaio addirittura contro l’ex azienda automobilistica di Stato (tuttora partecipata): la Renault, costretta poi a richiamare alcuni modelli perché i motori giravano in modalità “inquinante” in troppe condizioni ambientali (dunque, niente software taroccati vietati come Volkswagen, ma solo una programmazione che lo stesso costruttore ha riconosciuto come lasca). A tutt’oggi, è stata l’azione più dura portata avanti da un governo contro un costruttore, in questa pantomima continentale basata su norme Ue che lasciano a ciascuno Stato il compito di punire la propria industria nazionale. Sì, la stessa che poi, se il governo facesse davvero sul serio, gli presenterebbe il conto sotto forma di decine di migliaia di licenziamenti.

Proprio alla luce di questo si spiegano meglio gli interventi di un paio di parlamentari che ricordavano la scarsa determinazione delle autorità francesi. E si spiega il fatto che esse sono in ottima compagnia. Quel che non si spiega ancora è perché il blitz di gennaio. Possiamo solo notare che la Renault è stato il primo grande gruppo a credere nell’elettrico fino in fondo, investendo per creare una vera gamma anche in anni in cui era palesemente non appetibile dal pubblico. Dunque, bene o male, è anche il costruttore cui una stangata sul diesel farebbe meno male.

In ogni caso, nei palazzi della Ue tutti sanno già che la commissione d’inchiesta non determinerà esiti terribili per i costruttori, anche perché le mancano i poteri per farlo. Né poteva essere diversamente: andare a fondo sul dieselgate significherebbe stroncare l’industria europea e nessuno può permetterselo.

Pensate sia uno scandalo? Non è proprio così. Vi sembrerà paradossale, ma tutto deriva proprio da una scelta di fondo che ha fatto l’Europa per proteggere l’ambiente. Vent’anni fa, quando in tutto il mondo aumentarono le preoccupazioni per la CO2, l’Europa decise di agire prima degli altri giganti e in campo automobilistico aveva già una soluzione pronta: il diesel, che in quel momento stava rinascendo grazie al common rail. Quindi, se un’intera industria si è fondata sul diesel, è stato anche per una ragione ecologica.

Poi, sempre in nome dell’ecologia, si sono dati al diesel limiti di emissioni sempre più stretti, che l’industria ha osteggiato perché “non ci stava dentro” se non con costi e complicazioni pazzeschi, che avrebbe ribaltato sui consumatori. Il tutto in nome di benefici ambientali che c’era motivo di ritenere proporzionalmente insufficienti. Di qui una sorta di compromesso ipocrita tra industria e governi: omologazioni con limiti severi ma condizioni di prova lasche. Gli addetti ai lavori lo sapevano, ne conoscevano le motivazioni e non se ne scandalizzavano. Il dieselgate ha portato tutto questo a conoscenza dell’opinione pubblica e si è gridato (anche qui ipocritamente) allo scandalo perché certe verità sono difficili da capire e da spiegare a tutti. Il disinteresse che ora l’opinione pubblica europea mostra per la vicenda fa involontariamente giustizia delle ipocrisie.

 

  • Raffaele |

    Ben ritrovato Caprino. Ma come si fa a parlare di Comunita’ Europea se si procede in ordine sparso anche su argomenti relativamente complicati come questo? Come faremo a pretendere il rispetto delle regole che ci “siamo” dati quando arriveranno in massa le auto cinesi ?

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