Il nuovo decreto autovelox non passerà così com’è: la bozza inviata un mese fa alla Conferenza Stato-città-autonomie locali è stata bloccata. Tra le varie perplessità che ha suscitato, spiccano quelle del maggiore destinatario del provvedimento: l’Anci. Infatti, l’associazione dei Comuni rappresenta proprio gli enti messi nel mirino dalla riforma del Codice della strada (legge 120/10) per il fatto di usare non di rado i controlli di velocità per fare cassa. La riforma aveva così previsto che metà dei proventi autovelox andasse all’ente proprietario della strada per metterla in sicurezza, che l’impiego dei fondi fosse rendicontato con molta più precisione rispetto ad oggi e che un nuovo decreto ministeriale riassumesse tutte le regole d’impiego dei rilevatori di velocità e di trattamento dei dati rilevati. L’Anci ha perplessità praticamente su tutti gli aspetti della bozza di Dm.
Che le perplessità riguardassero gli aspetti contabili era prevedibile: in questo campo le interpretazioni e le modifiche normative si sono sprecate, durante questi anni. Più sorprendente è che vengano chiesti chiarimenti anche sulle regole d’impiego dei rilevatori, visto che esse non fanno altro che riprendere la direttiva Maroni integrandola con i pareri già resi dai ministeri delle Infrastrutture e dell’Interno negli ultimi anni.
Uno dei problemi riguarda proprio questi pareri: ne manca all’appello qualcuno, e anche importante. Soprattutto quelli che autorizzano l’uso dei finti autovelox, recentemente sconfessato da un ministro in cerca di consenso: i Comuni, giustamente, vorrebbero che il decreto dicesse una parola definitiva su questa imbarazzante vicenda.
Un altro chiarimento che l’Anci vorrebbe fosse inserito nel decreto riguarda i tratti urbani (cioè di attraversamento di centri abitati) di strade statali, regionali e provinciali. Il Codice della strada (articolo 2, comma 7) li considera già strade comunali a tutti gli effetti, salvo che il Comune abbia meno di 10mila abitanti. Sembra una distinzione chiara, ma negli anni le interpretazioni si sono sprecate. Di qui la richiesta dei Comuni di ribadire anche questo nel decreto, anche perché riconoscerli enti proprietari significa dare loro la possibilità di tenersi i soldi incassati con le multe.
Poi va chiarito se anche le strade regionali – al pari delle autostrade e delle statali – vadano considerate giuridicamente come “strade in concessione”. In caso positivo, anch’esse finirebbero tra quelle escluse dall’obbligo di devoluzione di metà dei proventi autovelox all’ente proprietario. E a quel punto la norma sarebbe applicabile solo alle provinciali. Insomma, la montagna della riforma avrebbe partorito un topolino (per giunta difficilissimo da tirar fuori).
Per il resto, ci sono i problemi di natura contabile di cui già si sentiva parlare da tempo. A partire dal fatto che non si possono mettere a confronto gli incassi realizzati nel corso di un anno con i soldi impiegati per mettere in sicurezza le strade nell’anno medesimo: questi ultimi vengono decisi in sede di bilancio preventivo, quindi bisognerebbe specificare che il rispetto del vincolo di destinazione dei fondi andrebbe verificato l’anno successivo all’incasso. Poi manca ancora la piattaforma elettronica su cui i Comuni devono inviare i resoconti: il ministero delle Infrastrutture non l’ha ancora predisposta e quindi l’Anci sta raccomandando ai Comuni di predisporre comunque i documenti, pronti per un invio appena il ministero vara la piattaforma. Infine, pare che il taglio ai proventi previsto per i Comuni inadempienti sia difficilmente applicabile: la norma (articolo 142, comma 12-quater, del Codice della strada) non ne specifica i presupposti e non è coordinata con i princìpi generali della finanza locale.