Difficile sentire tante inesattezze messe insieme in meno di un quarto d'ora della trasmissione di Radio Montecarlo dedicata ai motori, il 9 novembre. Parlavano dei box autovelox "finti" con toni duri e sicuri, che devono certo aver colpito lo sprovveduto ascoltatore, convincendolo che ci sia un clamoroso scandalo. Invece è una semplice bufala, che diventa clamorosa per i toni esagerati con cui viene sbandierata come vera. Periodicamente questi box finiscono sotto gli strali di mezzi d'informazione (anche nazionali e di un certo prestigio, come Tg2 Rai, Tg5 Mediaset e "Il Giornale") poco informati e di qualche associazione di consumatori in cerca di visibilità.
Si citano pezzi di due note ministeriali che vieterebbero questi box, si fa riferimento a non meglio precisati incidenti mortali di persone che vi sono finite contro, si denunciano clamorosi sprechi di denaro pubblico da parte dei Comuni che li hanno adottati e si allude a mazzette che sarebbero volate per adottarli.
E invece il ministero si è limitato a dire per due volte che quei box non si possono omologare perché non rientrano in alcuna categoria omologabile. In sostanza, sono come una panchina o un qualsiasi altro oggetto di arredo urbano. E si possono utilizzare per metterci saltuariamente un autovelox (questo sì omologato). Se poi si pensa che qualcuno che li urta possa farsi male nonostante il fatto che i box siano di plastica, li si deve mettere in posizione più defilata o piazzarci davanti un guard-rail o un attenuatore d'urto. Punto. Lo abbiamo già spiegato nei dettagli.
Il bello è che l'associazione di consumatori più infervorata pubblica anche la nota ministeriale. Quindi, chiunque abbia gli occhi, cinque minuti di tempo e una conoscenza accettabile della lingua italiana può capire che quella stessa associazione sbaglia.
Ma le bufale, noi giornalisti lo sappiamo, sono carsiche: riaffiorano periodicamente. Così eccoci qui a smentirle, di nuovo. E ad attirare l'attenzione su quello che potrebbe essere il vero problema di questi box: l'inutilità nel tempo.
Infatti, inizialmente questi nuovi elementi del paesaggio urbano creano deterrenza. Poi la gente capisce che nove volte su dieci l'autovelox dentro non c'è e che, se c'è, deve starci anche il vigile accanto. Quindi torna a correre come se i box non ci fossero e a quel punto restano i soldi spesi per piazzare i box e l'ingombro a bordo di strade cittadine che spesso in Italia non hanno troppo spazio già di loro. Quindi i benefici potrebbero durare troppo poco. Però questa critica non l'ho sentita fare a chi è salito in cattedra con toni da inquisizione. E che ora si è preso anche una reprimanda dal Comune di Serravalle Scrivia ( Download COMUNICATO STAMPA).