Tra i vizi che abbiamo noi giornalisti, c'è quello di occuparci di un problema solo quando ci capita di affrontarlo personalmente. Sia chiaro: questo a volte ci consente di scoprire notizie rilevanti e quindi ben venga, se poi siamo capaci di spiegarle e denunciarle con la dovuta professionalità. Però almeno altrettante volte si tratta di cose "non troppo rilevanti". Oppure le spieghiamo magari in modo avvincente e romanzesco; peccato che dal punto di vista tecnico le cose non stiano proprio come sono state dipinte. Ieri è successo a Vittorio Feltri, che ha fatto piazzare sulla prima pagina del Giornale il racconto della sua odissea per pagare il bollo auto. Un racconto che sarebbe andato bene 15 anni fa. Ma nel frattempo molto è cambiato, sia in bene sia in male. Quindi Feltri ha sbagliato bersaglio (e peraltro non è nuovo a errori del genere, quando si occupa di burocrazia dell'auto). Non che non ci sia più niente da colpire, anzi. Semplicemente, i problemi nel pagamento del bollo auto sono tanti e, se li conosci, ti fai un'idea di come gira quella classe dirigente dell'Italia su cui lo stesso Feltri (che peraltro ne fa indubbiamente parte) tira tante bordate.
Al netto dei toni coloriti del racconto, Feltri riferisce sostanzialmente di aver dimenticato di pagare il bollo in tempo e di aver dovuto penare tra vari sportelli perché non tutti sono abilitati a riscuotere anche i versamenti tardivi e perché lui non aveva in tasca il contante sufficiente (non è possibile pagare con quei bancomat e le carte di credito su cui da qualche tempo al ministero dell'Economia stanno puntando per la crociata contro l'uso del contante, ritenendolo un mezzo per celare evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco, anche se qualche esperto dice accoratamente che in realtà non è proprio così).
Evidentemente Feltri non sa che anche nella sua regione, la Lombardia, il bollo si può pagare stando tranquillamente sulla propria poltrona: basta avere una carta di credito e fare pochi clic sul sito dell'Aci.
Il vero problema è che questo si può fare solo nelle regioni convenzionate con l'Aci. Nelle altre, no. Ci sono poi regioni dove si può pagare tramite banca, ma con regole e limitazioni via via diverse. E potrei andare avanti a descrivere le amenità di un sistema tanto variegato da essere diventato, da oltre 10 anni, sostanzialmente non più descrivibile da un essere umano. Quel che importa è capire come mai un tributo non si possa pagare con modalità snelle e uguali per tutti, ora che la telematica ha fatto passi da gigante e abbiamo festeggiato da un pezzo anche il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia.
Qualcuno farà doviziosamente notare che c'è un servizio minimo uniforme in tutto il Paese, svolto da Poste, tabaccai e agenzie di pratiche automobilistiche, mentre il resto è qualcosa che ogni amministrazione regionale mette in piedi da sé e chi è più bravo si farà anche voler bene dai propri cittadini. In effetti, Feltri ha scelto proprio di avvalersi dei servizi minimi e per questo gli è andata come gli è andata. Però non è proprio vero che le Regioni facciano a gara a chi serve meglio i cittadini: lo scandalo scoppiato in Piemonte un anno fa dimostra che ci sono dietro anche precisi interessi. A rubare o anche semplicemente a mantenere in vita organizzazioni che potrebbero essere spazzate via dalla tecnologia, dalla crisi e dalla concorrenza, come sui mercati sta capitando da anni a tante aziende con tantissimi lavoratori.
Forse è anche per questi steccati artificiali che, a due anni dall'istituzione del superbollo (nato per colpire auto alla portata di Feltri e finito col penalizzare appassionati squattrinati), Regioni e agenzia delle Entrate non si sono ancora messe d'accordo su come consentire ai contribuenti di pagarlo assieme al bollo. Qualcuno ha il coraggio di spiegarci quali sono le insormontabili difficoltà tecniche che impediscono una divisione contabile degli incassi?