Tra gli appassionati del tuning c'è delusione. Lo si è visto chiaro nella conferenza di oggi a Roma in cui veniva illustrata la "liberalizzazione" di cerchi e gomme: negli anni scorsi, in sede prevalentemente politica, si era vagheggiato un modello simile a quello tedesco, in cui fondamentalmente tutto è lecito (o, perlomeno, sulle strade si vede di tutto e ha una certificazione tecnica, su cui a volte c'è polemica come sulla vendita delle indulgenze ma è pur sempre una certificazione), ma alla fine è uscito un sistema con tanti paletti. Lo ha confermato il secondo passo attuativo, che è appunto il Dm su cerchi e gomme (dopo quello sui freni). Ma stamattina i produttori di cerchi e di gomme non se ne sono affatto lamentati. Nemmeno quando li ho esplicitamente stuzzicati.
Come mai?
Bisogna guardare le cose dalla prospettiva giusta. In realtà, quella che noi chiamiamo mediaticamente "liberalizzazione del tuning" è anche (o soprattutto) un modo per controllare meglio gli eccessi del mercato. Cioè i prodotti senza qualità, che vengono venduti anche se non sono omoogati.
Questo è tanto più vero per i cerchi: incredibilmente, in questo settore delicato per la sicurezza, norme di omologazione non ce n'erano neanche. Così il tuning regolamentato rigidamente può servire anche come cavallo di Troia per imporre requisiti di omologazione e mettere fuori legge i produttori più "disinvolti" (che poi spesso sono i soliti cinesi) e la concorrenza sleale che fanno alle aziende italiane ed europee.
Insomma, meglio tenersi qualche limitazione al proprio business che aprire praterie ai concorrenti sleali.