C'è da preoccuparsi o no per quanto si muore sulle due ruote? Non è una domanda oziosa, ma l'oggetto di una polemica tra due "pesi massimi" del nostro settore in Italia: l'Ania e l'Ancma. L'associazione delle assicurazioni, tramite la sua fondazione per la sicurezza stradale, per motivare la sua soddisfazione per le nuove regole europee sulla patente, aveva citato con preoccupazione il caso dell'incidentalità di moto e motorini. L'associazione dei produttori ha contestato il ragionamento delle compagnie, dicendo che i dati sono invece tranquillizzanti (Scarica Incidenti Ancma polemica Ania).
Chi ha ragione?
Non è il caso di andare a spulciare i dati uno per uno: s'innescherebbe un inutile e fastidioso effetto-Ballarò (due parti contrapposte, ognuna che considera solo le cifre che confortano la propria tesi, nessuno che ci capisce più nulla) e si scoprirebbe che dipende da quanto lungo è il periodo che si prende in considerazione.
Più interessante è scavare in una delle argomentazioni forti dell'Ancma, secondo cui nella maggior parte dei casi i motociclisti vengono coinvolti in incidenti causati da guidatori di altri tipi di veicolo. Verissimo, ma non basta per tranquillizzarsi: il dato dice solo che occorre puntare di più sulla guida difensiva e preventiva. Cioè bisogna insegnare a chi va in moto che bisogna stare il più lontano possibile dagli altri. Esattamente l'opposto di quello che si vede ogni giorno per strada.
Il punto diventa allora chiedersi se con le nuove regole europee questi concetti saranno insegnati di più e meglio rispetto a prima. A me non pare. Quindi, più che la polemica Ania-Ancma, di questa rivoluzione delle patenti dovrebbe restare l'idea di un'occasione perduta.