Siamo proprio strani noi esseri umani: sopportiamo per decenni problemi insopportabili e quasi non ce ne accorgiamo, poi quei problemi diventano meno gravi ma proprio da quel momento non li sopportiamo più. Uno dei casi più clamorosi è quello degli infortuni sul lavoro, che ci sono da sempre e sono da anni in diminuzione, ma sono sulle prime pagine regolarmente dal primo maggio 2007, quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano volle farne uno dei simboli del suo settennato che allora era agli inizi.
Cose analoghe sono successe anche nel nostro mondo della strada. Ce lo ha ricordato l’altro ieri l’Asaps, ricostruendo le statistiche dei morti per incidente: come leggete nel comunicato completo che riporto qui sotto, da quando c’è la motorizzazione di massa ci eravamo abituati ad avere oltre 10mila vittime e solo recentissimamente siamo scesi sotto le 5mila. Eppure devo ricordare che fino a pochi anni fa le cronache spesso trattavano gli incidenti stradali come mere fatalità, di fronte alle quali si poteva solo fare spallucce. Senza nemmeno invocare la presenza di più agenti per strada (le tecnologie di controllo negli anni 60-70-80 erano rudimentali rispetto a oggi) o le cinture di sicurezza obbligatorie (che erano state già inventate).
Apparentemente la stessa cosa è accaduta con l’inquinamento: quarant’anni fa eravamo attorniati da scatolette di lamiera che portiamo ancora nel cuore (le varie 500, 600, 127, 128, Alfetta eccetera) senza pensare che una sola di loro inquina come cento vetture di oggi. E non facevamo una piega mentre vivevamo con i riscaldamenti ottocenteschi a carbone o con le fabbriche in città, mentre oggi arriviamo a scatenare battaglie civili contro l’Ilva di Taranto. Però nel caso dell’inquinamento una spiegazione razionale c’è: non si conoscevano ancora gli effetti delle varie sostanze nocive. Un po’ per carenze della scienza e un po’ perché certi dati sulle malattie venivano coperti o si evitava di rilevarli (proprio come accaduto a Taranto per anni), quindi l’opinione pubblica non avrebbe potuto allarmarsi.
E ora torniamo agli incidenti stradali. Ecco il comunicato dell’Asaps con tutte le cifre.
La storia degli incidenti stradali dagli anni ’50 ad oggi
Mezzo milione di morti e 14 milioni di feriti di cui almeno 2 milioni con invalidità permanenti
L’annus horribilis il 1972 con 11.078 decessi. Gli anni ’60 il decennio peggiore
Olocausto: è questa la parola più adatta per definire lo sterminio che si è consumato sulle strade italiane dal 1952 a oggi (e la gravissima sequela degli incidenti di Natale è una conferma), anno in cui l’Istat ha iniziato la raccolta ufficiale dei dati sulla sinistrosità. L’Asaps ha rielaborato 60 anni di dati in una ricerca che sarà pubblicata sul prossimo numero de Il Centauro, scoprendo numeri impensabili, incrociando i dati degli incidenti con quelli relativi al parco circolante dei veicoli.
443.802 vittime (tante quanti gli abitanti di Firenze e Forlì), 14.321.280 feriti, 14.868.849 incidenti: sono dati impressionanti e che, purtroppo, non rappresentano il dato effettivo. Infatti, fino al 1998 venivano annotati solo i decessi entro la settimana dall’evento, mentre oggi si prendono in considerazione le morti in un arco temporale di 30 giorni e per questo si può lecitamente pensare che quella cifra vada aumentata di almeno il 15%.
I più colpiti sono gli under 30: 130mila giovani sottratti al loro ciclo vitale da una dinamica violenta e dolorosa, che ha lasciato sul campo milioni di invalidi permanenti, per i quali non esistono numeri certi. L’elaborazione dei bollettini induce gli analisti a ritenere che almeno il 15/20% dei feriti complessivi nei sessant’anni di rilevazione Istat non abbia più ripreso una vita normale dopo un incidente. Si tratta di 2/3 milioni di persone, con un danno incalcolabile in termini di prodotto interno lordo, oltre che di perdita di aspettative di vita.
L’analisi decennio per decennio indica che fino al 1972 i numeri sono tutti cresciuti: si è partiti con 56.355 persone rimaste uccise dal ’52 al ’60, anni in cui il parco veicolare non arrivava a due milioni, arrivando al record di 95.386 decessi del decennio dal 1961 al 1970, registrati nell’indifferenza di un’epoca che non aveva ancora prodotto i geni per difendersi dalla crescente mobilità, con quasi 15milioni di veicoli.
L’Annus Horribilis è stato il 1972 (11.078 decessi) ma per arrivare ai risultati di oggi si sono dovuti aspettare altri quarant’anni: 92.986 vittime negli anni ’70 (2.321.285 feriti in 2.885.571 incidenti), 71.607 nel decennio successivo di quei magnifici anni ‘80 (2.192.276 feriti in 2.767.129 incidenti e oltre 33milioni e mezzo di veicoli circolanti), 67.177 morti negli anni ’90 (2.716.568 feriti in 1.915.255 sinistri e quasi 41milioni di veicoli), con una media ancora vicina alle 7mila vittime annuali.
La storia stradale contemporanea è più nota: interrompere l’olocausto diviene una priorità e l’UE assegna a tutti gli stati membri il compito di dimezzare la mortalità nel primo decennio del terzo millennio. Scendiamo così a 56.341 vittime ma aumentano i feriti, quasi 3milioni e 400mila, con un parco auto che sfiora i 50milioni.
Il 2011 è il miglior risultato di sempre: 3.860 morti e 292.019 feriti. Aumenta la mobilità e il parco veicoli, oggi quasi a quota 49 milioni di mezzi, ma diminuiscono le vittime, grazie certamente agli airbag agli ABS, ESP. Ma anche col segno che i geni ora ci sono: si chiamano elettronica, cinture, casco, etilometro, tutor e controlli e, per fortuna, maggior coscienza, maggior vigilanza, pressione e informazione da parte di tante associazioni. Ma c’è ancora tanto da fare finché girano per strada ubriachi con licenza di uccidere e mani inesperte e incoscienti al volante.
Forlì, lì 26 dicembre 2012
Giordano Biserni
Presidente ASAPS