Non è la prima volta che la Guardia di finanza scopre magagne anche clamorose tra i distributori di carburanti. Andiamo dall'"innocua" esposizione di prezzi più bassi di quelli effettivamente praticati alla vendita di benzina e gasolio annacquati o allungati con sostanze che fanno male sia ai motori sia alle casse dello Stato. Passando per truffe più o meno organizzate sulla quantità erogata e per episodi solo apparentemente pittoreschi di contrabbando, soprattutto ad opera di autotrasportatori che fanno installare serbatoi supplementari sui loro camion per girare l'Europa col gasolio acquistato solo nel Paese dove conviene di più. Quindi i preoccupanti risultati dei controlli estivi delle Fiamme gialle non devono sorprendere, tanto più che ora, tra crisi e maxi-sconti del weekend, sono i gestori stessi a dire che ormai non ci stanno più dentro con i costi e quindi non pochi di loro rischiano di chiudere. Né deve sorprendere che la Finanza si sia fatta viva proprio adesso: l'esodo estivo è una grande occasione per tutti, controllati (per frodare più in grande) e controllori (per fare bella figura). Quest'anno, poi, lo Stato ha da farsi perdonare la sequela di rincari delle accise (l'ultimo è della settimana scorsa) e manda i finanzieri a far vedere che nonostante tutto è al fianco dei propri cittadini, contrariamente a qualche gestore cattivone.
Quello che mi ha sorpreso è che proprio i gestori non abbiano alzato la voce contro la Finanza. Sarà la pausa ferragostana, sarà la stanchezza, ma non ci sono state reazioni particolari a difesa della categoria. Strano, se vi ricordate le levate di scudi che accompagnarono le prime operazioni di controllo diffuso, una dozzina di anni fa: si diceva che misurare i carburanti con esattezza è difficile a causa della loro volatilità e che a volte le anomalie verbalizzate dalla Gdf erano dovute a semplici guasti delle colonnine. Perché non si difendono, ora?
Eppure in alcuni casi le loro giustificazioni sono vere. Io posso anche aggiungerne una: a volte gli imbrogli ci sono, ma sono opera degli autotrasportatori che arrivano dalle raffinerie: quando le loro autocisterne non sono monitorate dal satellite, è facile far tappa in campagna da amici e alleggerire il carico, magari allungandoli con sostanze che rischiano di far rompere o – nella migliore delle ipotesi – inquinare di più un motore.
Ma a volte il trucco lo fa direttamente il gestore. Che altre volte, invece, è responsabile per l'imperfetta manutenzione delle sue cisterne (e sotto questo aspetto il calo di vendite e margini dovuto alla crisi non è certo d'aiuto. Chi bara sulla quantità, poi, sa bene che le probabilità di subire controlli non sono altissime (quanto adeguati sono gli Uffici metrici provinciali?).
Più articolato è il barare sul prezzo. A parte la reticenza sempre più frequente che noto sui già controversi benzacartelloni voluti da Bersani nel 2007, si abusa incredibilmente della parola "sconto". Lo fanno sia le grandi compagnie sia i piccoli gestori. E il Governo lo sa, perché non a caso nel suo decreto liberalizzazioni (Dl 1/12) ha vietato di pubblicizzare i prezzi attraverso gli sconti. Ma manca il provvedimento attuativo e continuiamo a vedere striscioni promozionali che scrivono "sconto", salvo poi avvicinarci alla colonnina e leggere che in alcuni casi vi corrisponde un prezzo di 1,6 euro al litro e in altri si arriva a 1,9. Viva l'Italia!