Ve lo dico subito: ci ho riflettuto qualche giorno e non sono convinto che la raffica di argomentazioni sotto cui seppellisce la multa sia giuridicamente fondata in ogni sua parte. Ma la sentenza con cui il giudice onorario di Bassano del Grappa ha annullato un accertamento fatto da un apparecchio automatico a un semaforo contiene princìpi che devono far riflettere molti amministratori comunali e addetti ai lavori. La sentenza ribalta quanto deciso in primo grado dal giudice di pace e censura sotto molti (troppi, probabilmente) profili l'operato del Comune di Romano d'Ezzelino (Vicenza), ritenendo obbligatorie cose che quasi nessuno fa. Questo è il punto fondamentale su cui voglio soffermarmi, perché ai nostri fini è più interessante. Poi la multa andava annullata anche perché il Comune non ha dimostrato che l'apparecchio fosse stato verificato e che la lavorazione dei verbali fosse nel controllo dei vigili: cose gravi, ma tutto sommato ci siamo abituati.
Andiamo invece sull'aspetto innovativo della sentenza. Il magistrato onorario (un'avvocatessa) ha dovuto rispondere a una sequela di rilievi fatti dal trasgressore e non si è lasciato pregare. Ne è venuta fuori una sentenza che stigmatizza tutte le cattive abitudini dei Comuni, anche quelle che non sono veri e propri illeciti ma solo cattivi esempi di amministrare e di affrontare i problemi della sicurezza stradale. Quindi non cose che giuridicamente possono bastare da sole a far annullare un verbale, ma che concorrono a formarsi l'idea di un'amministrazione incompetente o con la testa rivolta soprattutto agli incassi.
Sotto questo profilo, il principio più importante richiamato nella sentenza è che ogni incrocio, semaforo e relativo rilevatore di infrazioni devono rispondere a un progetto specifico, in base al quale tarare sia i tempi del ciclo semaforico sia il ritardo rispetto al rosso col quale l'apparecchio deve iniziare a registrare i passaggi vietati (il ritardo dev'esserci per omologazione, perché parliamo di uno dei modelli meno recenti, che non riporta su ogni fotogramma il tempo trascorso dall'accensione del rosso e quindi l'unico modo affidabile per capire se il trasgressore non ha oltrepassato la striscia di arresto nell'ultimo istante del giallo è proprio quello di fissare una tolleranza). Non basta: la decisione di installare il controllo automatico in un determinato incrocio va motivata sulla base dei dati sugli incidenti e della pericolosità intrinseca di una strada conformata in quel modo.
Il Comune non è stato in grado di esibire tutto ciò. E non c'è dubbio che queste accortezze, pur forse non strettamente obbligatorie dal punto di vista giuridico, garantiscono più sicurezza (in un incrocio il fatto che ci sia un progetto vero dovrebbe significare che qualcuno si è posto il problema di prevenire alla radice gli incidenti) e comunica che c'è cultura della sicurezza. Perché buona tecnica, trasparenza e lealtà dovrebbero spingere ogni amministratore ad agire così. Ma quasi nessuno agisce così. Per malafede? Corruzione? Incompetenza? Semplice voglia di ripianare i bilanci? Ognuno si dia la risposta che vuole.
La sentenza di Bassano contiene anche un errore, come il richiamo allo sciagurato parere di un ufficio (che non ha competenza in materia e probabilmente aveva solo voluto coprire un atto sbagliato della Prefettura di Lodi) del ministero dell'Interno secondo cui l'installazione dei controlli ai semafori dev'essere autorizzata dal prefetto (sarebbe opportuno – ammesso che tutte le prefetture funzionino bene – ma nessuna legge lo richiede). Inoltre, ci sono passaggi poco chiari, forse condizionati dalla fumosità delle stesse risposte del Comune ai rilievi del ricorrente.
Ma questo poco importa. La cosa essenziale è che gli amministratori capiscano che tutto va fatto a regola d'arte e non solo con un occhio ai cavilli giuridici. Perché la sicurezza e la fluidità del traffico non si fanno coi cavilli.