Un'ulteriore dimostrazione che i limiti di velocità vanno abbassati. Anche in Italia è stata commentata così la notizia che uno studio sugli incidenti avvenuti in vent'anni (dal 1986 al 2006) nelle "zone 20" di Londra ha dimostrato che la sicurezza è molto migliorata (http://www.bmj.com/cgi/content/full/339/dec10_3/b4469?maxtoshow=&HITS=10&hits=10&RESULTFORMAT=&fulltext=mph&searchid=1&FIRSTINDEX=0&sortspec=date&resourcetype=HWCIT). I numeri sembrano non ammettere repliche: nella tante aree londinesi dove negli anni Ottanta e Novanta sono stati imposte le 20 miglia orarie (poco più di 30 chilometri orari), i ricercatori hanno rilevato un -41,9% di incidenti con danni a persone, -35,1% di morti e feriti gravi (con una punta del -50,2% per i bambini e un meno eclatante -16,9% per i ciclisti). Anche se sono cifre che diventano meno impressionanti depurandole dalle diminuzioni avvenute anche dove i limiti non sono stati abbassati: una diminuzione (dell'8% negli incidenti) c'è stata anche nelle strade attorno alle zone 20, a dimostrazione che la sicurezza è migliorata un po' dappertutto e che i limiti più bassi non hanno avuto una ricaduta negativa sulle strade circostanti (in autostrada, forse, sarebbe andata diversamente). Credo che il miglioramento generale in questo caso non si debba tanto ad airbag e simili (gli inglesi allacciavano le cinture già vent'anni fa e i risultati più buoni hanno riguardato i pedoni, non gli occupanti delle auto), quanto all'Abs (che si è molto diffuso proprio negli ultimi due decenni ed è particolarmente utile in una città piovosa come Londra). Da notare che il totale degli incidenti è diminuito sensibilmente meno (-37,5%), per cui gli effetti migliori su morti e feriti si nono avuti non tanto perché la velocità ha fatto diminuire le collisioni, quanto perché ciascun urto è stato meno violento.
In ogni caso, ora s'invocano misure analoghe pure in Italia. Funzionerebbero?
La prima obiezione che viene da fare è che gli inglesi rispettano i limiti e noi no. Ma di questa non sarei tanto convinto: dall'anno scorso in alcune città britanniche si stanno sperimentando sistemi tipo-Tutor per garantire davvero che si vada piano, quindi qualche problema ce l'hanno pure lì, almeno nei punti dove il limite non è stato accompagnato da altre misure di traffic calming (allargamento dei marciapiedi a scapito della carreggiata, rialzi sull'asfalto, chicane, zebrature rumorose eccetera).
Il punto più importante è invece un altro: il differente paesaggio urbano. Facciamo una distinzione tra centro e periferia.
In centro, rispetto a Londra, abbiamo molte più auto in sosta (spesso selvaggia), che di fatto fungono da ostacolo che di per sé già limitano la velocità. Nelle stradine centrali della capitale britannica, invece, regna un ordine che un italiano definirebbe irreale e che ha costretto le autorità a inventarsi ostacoli artificiali (traffic calming). Alla fine dei conti, la velocità non cambia tra l'Italia e Londra. La controprova di quel che dico è il fatto che lo studio inglese cita come possibile metodo per migliorare ulteriormente una teoria che inizia a farsi strada, secondo cui sarebbe meglio far sì che auto, pedoni, moto e bici si mescolino negli spessi spazi (esattamente ciò che accade spontaneamente nel caos dei nostri centri urbani).
Nelle zone residenziali periferiche, invece, c'è molta differenza e quindi qui in Italia c'è molto da fare. Ma attenzione: bisogna capire in quale Italia. In genere, direi quella del Nord, dove i quartieri residenziali hanno strade interne ampie; al Sud la speculazione edilizia ha colpito di più, tanto che in mezzo alle rare zone di villette ci sono poche strade larghe e regolari su cui si è portati a superare i 30.