Sono giorni di caos negli uffici dei giudici di pace: a inizio anno è scattato l'obbligo di pagare il contributo unificato (perlopiù 30 euro+8 di bollo) su ogni ricorso presentato, ma mancano istruzioni pratiche da parte del ministero della Giustizia. Così, manco a dirlo, c'è gente che prova a depositare il ricorso senza pagare, contando sul fatto che – in mancanza di chiarimenti ministeriali – i cancellieri non possano rifiutare l'atto, i giudici vadano avanti lo stesso e si arrivi alla più classica delle situazioni italiane: la causa va avanti lo stesso e l'ufficio giudiziario passa la palla all'agenzia delle Entrate, che poi dovrebbe mettere in moto tutta una procedura per recuperare i 38 euro. Salvo poi sollevare scandali quando per quei 38 euro si apporranno le ganasce fiscali sull'auto del ricorrente.
Sperando che non finisca davvero così (e che quindi i giudici dichiarino improcedibili i ricorsi sui quali non risulta il pagamento), resta aperto un altro problema, causato dalla semplificazione burocratica (sempre pericolosa in un Paese complicato): quella portata dalla possibilità di depositare il ricorso per posta. Ci sono atti partiti quando la gente non sapeva ancora del nuovo pagamento e comunque nessuno ha ancora chiarito ufficialmente se in caso di spedizione basti inserire nella busta 38 euro in marche.