Sul Sole-24 Ore di oggi do notizia dell’ennesimo anno-record quanto a infrazioni per eccesso di velocità rilevate dalla Polizia stradale. Sembra strano che si facciano beccare così in tanti, ora che c’è l’obbligo (sempre rispettato dalla Stradale, non altrettanto dai vigili) di presegnalare i controlli e di rendere visibili gli apparecchi. Ma in realtà credo che l’aumento dei multati sia solo un riequilibrio rispetto alla situazione precedente, in cui venivano puniti davvero in pochissimi in rapporto all’effettivo numero dei trasgressori. Un riequilibrio reso possibile dal fatto che ora i controlli probabilmente sono più numerosi e durano di più: si stanno trovando sistemi informatici e di distribuzione del lavoro per fare i verbali più velocemente e quindi è più raro vedere i poliziotti che stanno in ufficio chiedere ai colleghi di pattuglia di spegnere gli apparecchi dopo aver rilevato un tot di infrazioni, per evitare un ingolfamento di scartoffie. Ma a volte questo snellimento va a danno dei guidatori innocenti.
Infatti, oggi sono in grado di raccontarvi com’è finito il caso della signora con una tranquillissima Panda beccata dal Tutor a 190 all’ora in autostrada; ve ne avevo scritto il 17 dicembre in queste stesse sezioni del blog. Avevo chiesto alla Stradale come fosse stato possibile che la multa fosse arrivata alla signora, nonostante fosse evidente che l’infrazione fosse stata commessa con un’altra vettura ben più potente da qualcuno che ha taroccato la targa facendo in modo che i lettori automatici del Tutor rilevassero una combinazione di lettere e numeri che in realtà corrispondeva a quella della Panda della malcapitata.
Il motivo della mia domanda era semplice: ogni infrazione, prima di essere verbalizzata, dev’essere validata da un agente, che controlla la foto e i dati rilevati e quindi dovrebbe accorgersi di ogni dato incongruo. La risposta è stata altrettanto semplice: per velocizzare le verbalizzazione, il Tutor prende dai pubblici registri non i dati completi dei veicoli fotografati, ma quelli strettamente necessari a compilare e spedire il verbale: generalità del proprietario e categoria del mezzo (auto, camion, bus eccetera, in modo da stabilire a quale limite di velocità è soggetto). E in effetti il Codice della strada non impone di specificare anche il modello (è stato volutamente lasciato vago, perché con certi veicoli – soprattutto le moto – è difficile stabilirlo).
Dunque, l’agente che ha validato il tutto si è trovato davanti una foto con una bella macchina potente che filava a 190 all’ora e una bozza di verbale che riportava solo il fatto che si trattava di un’autovettura e che era di proprietà della signora, senza specificare se fosse una Panda o una Ferrari. Quindi, il poliziotto non poteva accorgersi di nulla.
Per riprendere un tema caro a molti di voi che mi seguite fedelmente, questo è un esempio dell’asimmetria tra Pubblica amministrazione e cittadino: il controllore si cura solo di multare, se sbaglia starà poi al controllato difendersi. Ma in un caso del genere forse questo è il male minore: la Stradale non ha abbastanza risorse per fare proprio tutto come si deve e lascia al cittadino un’incombenza fastidiosa, ma tutto sommato semplice. Infatti, basta scrivere due righe di ricorso al prefetto (non è necessario scomodare il giudice di pace, cosa che comporterebbe una procedura più complessa) spiegando in modo terra-terra la situazione e indirizzandole alla Stradale, che capisce subito (a meno che pensi che l’auto sta stata truccata) e le inoltra agli uffici prefettizi con altre due righe in cui ammette l’errore, per cui il ricorso non potrà che essere accolto. Senza che il cittadino debba muoversi di casa: non c’è bisogno di chiedere un’audizione personale in Prefettura, vista la chiarezza della situazione.
Sarebbe meglio se per far annullare il verbale bastasse una semplice telefonata o un fax ai poliziotti, senza dover scrivere con quel minimo di formalità che un ricorso pur sempre richiede. Una meraviglia del genere si chiama "autotutela" (nome giuridico che indica le situazioni in cui la Pubblica amministrazione si accorge di aver emesso un atto sbagliato e lo annulla di sua spontanea volontà) e qualcuno la applica pure. Ma nell’ordinamento italiano (non sono quello stradale) il concetto di autotutela non è mai stato disciplinato in modo preciso e cogente, per cui non di rado gli uffici pubblici restano nel dubbio. Quindi, un po’ per pigrizia e un po’ per non rischiare che un domani un magistrato possa muovere qualche accusa, si lascia che la cosa vada avanti, costringendo il cittadino a presentare ricorso.