Una buona notizia, una volta tanto: in due anni di campagna di sensibilizzazione sui rischi dell’alcol alla guida, Aci e Diageo (avete presente il Johnny Walker?) hanno rilevato che sette giovani su dieci sono disposti a non bere per riportare a casa in auto gli amici e hanno fatto in modo che 2.500 ragazzi passassero dalla teoria alla pratica. A prescindere dai controlli e dalle prediche. Questo nelle rilevazioni di una ricerca Eurisko, che fa il paio con una o due ricerche Zurigo Assicurazioni-Fondazione Iard di circa due anni fa, i cui risultati dimostrarono un certo senso di responsabilità dei giovani, soprattutto quando si individuano alcuni di loro che sono leader riconosciuti e si fa in modo che diano il buon esempio agli altri. Idem per la ricerca Icaro 7 condotta un anno fa dalla Sapienza di Roma e dalla Stradale.
Tutto bene, dunque?
Non proprio: la realtà, come al solito, è complessa. Da un lato è certamente necessario continuare con queste iniziative, perché un effetto lo hanno. Difficile però capire quanto diffuso sia questo effetto, perché dall’altro lato dobbiamo ricordare che le cronache ci offrono anche esempi di gente refrattaria ad ogni iniziativa, che continua a guidare ubriaca o drogata anche se la patente gliel’hanno già revocata e magari gira anche senza assicurazione. Senza contare che inchieste giornalistiche hanno dimostrato che a volte i ragazzi che si sono offerti di riportare a casa gli altri bevono lo stesso: i baristi non controllano se hanno il braccialetto che distingue questi guidatori designati.
Ora, se i refrattari probabilmente sono una minoranza, forse un po’ di più sono i baristi distratti e i ragazzi che interpretano il ruolo del guidatore designato semplicemente come obbligo di bere meno degli altri. Sarebbe bello avere una ricerca fatta su un campione ampio che ci dica quanti sono i ragazzi irresponsabili, quanti i refrattari e quanti i "distratti".