Passo spesso dall’aeroporto di Fiumicino. Così negli ultimi tre mesi ho deciso di “tenere sotto controllo” l’enoteca che dà sulla parte finale del “molo” per gli imbarchi dei voli nazionali. Di sera l’ho trovata sempre piena: tutti gli sgabelli erano occupati da persone che scioglievano la tensione di una giornata in trasferta con uno stuzzichino e un bicchiere di vino, non di rado grande. Immagino che molti si sarebbero imbarcati di lì a poco e, giunti a destinazione, si sarebbero messi a guidare, convinti di smaltire l’alcol già durante il volo. E invece non è così.
Facciamo due conti: i voli nazionali in partenza da Roma durano mediamente un’ora, cui vanno aggiunti i tempi d’imbarco e sbarco, ritiro bagaglio e raggiungimento dell’auto. Si arriva così a due ore. I medici dicono che, dopo aver bevuto, in molti casi la concentrazione di alcol nel sangue può raggiungere il massimo proprio dopo circa due ore: in precedenza sale (rapidamente se si è bevuto tutto di un fiato, più lentamente se si è pasteggiato), dopo le due ore inizia a scendere, ma molto lentamente (ci vogliono anche 12 ore per tornare a zero). Il picco si raggiunge più rapidamente solo se si tiene lo stomaco praticamente vuoto. Dunque, i clienti dell’enoteca di Fiumicino che prendono l’aereo e poi si mettono a guidare prendono il volante nel momento peggiore.
Non voglio criminalizzare né loro né l’enoteca, se non altro perché se ho studiato lo devo anche agli stipendi che mio padre ha portato a casa in quarant’anni di lavoro per un grande produttore di birra: quindi, non prendetemi per proibizionista. Ma mi chiedo semplicemente quanti clienti dell’enoteca si rendano conto dei rischi che corrono.