Roma, novembre 2005. Un gruppo di parlamentari, approfittando del dibattito per la conversione in legge del “Decreto salvapunti”, riesce a inserirvi un emendamento che impone ai Comuni di girare allo Stato i proventi delle multe per eccesso di velocità comminate dai loro vigili su strade extraurbane. Immediatamente, parte in tutta Italia una catena di telefonate tra gli addetti ai lavori. Comandanti di Polizia municipale e aziende che vendono o affittano apparecchiature per i controlli si dicono: “E ora come faremo?”. Qualche sindaco fa già sapere informalmente che non manderà più i vigili fuori dal centro abitato. Poi il decreto non viene convertito e il caso si sgonfia. Ma l’episodio è significativo: indica che al momento, senza i soldi delle multe, i controlli non si possono fare.
Attenzione: questo vale sia per i Comuni che scelgono di fare controlli solo per rimpinguare le proprie casse (tanto da non rendere conto di come usano i proventi delle multe) sia per quelli che vogliono fare sicurezza (e non hanno i soldi). Si dimostra così che in Italia le risorse destinate a essere investite per migliorare la circolazione stradale. Altrettanto certo è invece che i proventi delle multe costituiscono una parte cospicua degli incassi dei Comuni (si vedano le due pagine di inchiesta pubblicate sul Sole-24 Ore del Lunedì il 19 febbraio scorso). Credo che la conclusione sia solo una: il problema è tutto politico, nel senso che si tratta di scegliere se usare le risorse pubbliche anche per migliorare significativamente la sicurezza stradale. Ma di tutto questo in campagna elettorale non si parla quasi mai: i temi che spostano i voti sono ben altri.