Oggi noi giornalisti ci fermiamo tutti. Contro la legge-bavaglio, come sapete. Per una volta, siamo uniti in un'azione di protesta, anche se qualcuno non la condivide. Ma è un'occasione in cui stona lavorare quando è stato proclamato lo sciopero di categoria e quindi oggi la nostra categoria si presenta diversamente dal suo modo normale di essere: divisa e litigiosa, perché soldi, prestigio, autonomia e tutele sono sempre meno. Insomma, ci becchiamo come i capponi di Renzo descritti dal Manzoni.
In questa giornata di black out rigoroso delle notizie, approfitto del silenzio per fare una riflessione. Che parte da una notizia, di cui il mese scorso è caduto il (silenzioso) decennale. Parlo di una partita di cambi Fiat che si rivelò fragile e scosse il solitamente ovattato mondo della stampa dell'auto, fino addirittura a contribuire alla nascita dell'Albo dei richiami pubblicato dal ministero dei Trasporti. Una storia che mi consente di spiegarvi che il bavaglio è una prospettiva ben presente anche nella stampa di settore, da ben prima che si discutesse la (sciagurata, sia chiaro) legge sulle intercettazioni, che peraltro impatta soprattutto sui cronisti della giudiziaria e molto poco sull'informazione specializzata.
Dunque, nella rivista in cui lavoravo all'epoca, accadde che fortunosamente un collaboratore "intercettò" una comunicazione interna della Fiat a concessionari e officine autorizzate, in cui si avvisava del pericoloso difetto e tuttavia si scriveva che le vetture nuove potenzialmente difettose potevano essere consegnate agli acquirenti senza essere risanate. Ne venne fuori un titolo di copertina insolitamente diretto e "forte", degno di un quotidiano popolare e probabilmente figlio dei cambi al vertice del giornale che si stavano delineando: "Cambio fragile, a rischio 15mila Punto – E attenti anche a Brava, Marea e Multipla". Un titolo che poi si rivelò esagerato. Emerse infatti che la Fiat in realtà voleva bloccare le auto nuove non risanate, ma per uno sfortunato errore saltò un "non" dalla comunicazione inviata alla sua rete, stravolgendo il senso della frase più importante. A Torino se ne accorsero tempestivamente e inviarono una rettifica, che però non raggiunse tutti gli interessati e qualche Punto potenzialmente difettosa uscì lo stesso dalle concessionarie.
Solo che noi questo non lo sapevamo e, per una volta che avevamo deciso di trattare un difetto in modo non prudente e distaccato come al solito, ci trovammo ad essere più severi e allarmistici del necessario. Sapete perché accadde? Temevamo che la pubblicazione della rivista potesse essere addirittura bloccata (e non certo dalla magistratura o da forze di polizia) se si fosse saputo che avremmo dato quella notizia. Quindi ce ne occupammo in pochissimi e in segreto. Un segreto che implicava la rinuncia a interpellare la Fiat per sentire la sua versione dei fatti. Dunque, pur di dare una notizia, scegliemmo di non adempiere fino in fondo al nostro dovere di verifica. Perché avvertivamo la presenza di una sorta di bavaglio preventivo tutto interno al nostro mondo, mai dichiarato eppure reale (tanto più che in quegli stessi mesi di bolla di internet si stava chiudendo un accordo col neonato portale web controllato dalla Fiat). Un po' come la "corruzione ambientale" di cui parlò in pool di Mani pulite nel '92: certe cose non occorreva dirsele chiaramente, ci si trovava a operare in una realtà dove da lungo tempo certe prassi erano scontate (e, oggi che ci sono le intercettazioni, lo sono ancor più).
Personalmente, avvertivo tanto quel bavaglio (anche se sfumato, particolare e improprio) da consigliare a chi aveva lavorato con me di non apparire. Infatti l'articolo fu firmato solo da me. Ero consapevole che mi avrebbe dato problemi, fino a precludermi già a 32 anni la possibilità di fare una brillante carriera*. Ma ho sempre pensato che sia meglio trovare notizie e riuscire a darle piuttosto che veder aumentare stipendio, prestigio personale e difficoltà nel guardarmi allo specchio la mattina. In fondo, ho già avuto la fortuna di appartenere forse all'ultima generazione che nel giornalismo ha trovato un posto di lavoro fisso (almeno fino a quando la crisi strutturale del settore non lo spazzerà via) e di riuscire ancora a sapere e raccontare qualcosa. Ma i miei colleghi più giovani?
In ogni caso, il parapiglia sui cambi Fiat fece emergere clamorosamente un problema che la mia stessa rivista aveva sollevato fin da quando ne ero solo un giovane e appassionato lettore: l'opacità dei richiami, che invece negli Usa erano trasparenti già da tempo. Fu anche per questo che nell'autunno successivo nacque l'Albo dei richiami, teoricamente rafforzato quattro anni dopo dal recepimento della direttiva europea 2001/115 sulla sicurezza dei prodotti, che dà più poteri al ministero. Nonostante tutto questo, il bavaglio resta anche oggi.
Fosse stato rimosso, oggi non faremmo più fatica di dieci anni fa a "intercettare" le circolari interne sui difetti. E queste circolari sarebbero diffuse a tutti gli operatori interessati, anziché essere dispensate come farmaci ai soli punti di assistenza cui si ritiene possano servire (non sempre vengono distribuite all'intera rete). Sapremmo perché dal '97 al '99 sono stati prodotti motori 1.9 turbodiesel (a precamera) Citroen-Peugeot su cui la biella del primo cilindro si rompeva sistematicamente e si sarebbe riusciti a farli richiamare. Sapremmo qualcosa di più delle Opel che in anni più recenti prendevano fuoco. Sapremmo tutto dei pedali acceleratore che possono bloccarsi su Stilo, Bravo, Delta e Giulietta. Le case automobilistiche non risarcirebbero il singolo cliente sfortunato e battagliero (come talvolta continuano a fare) piuttosto che richiamare in officina altre migliaia di loro auto. Non avremmo dovuto leggere libri-denuncia coraggiosi e sconfortanti come "I padroni delle notizie", del collega Giuseppe Altamore. La collega Ilaria Guidantoni, nella conclusione del suo libro "Vite sicure", non avrebbe dovuto prendere atto che "la televisione, forse perché telecomandata dall'industria dell'auto, non ha accolto la sicurezza stradale come argomento di trasmissioni dedicate" (a parte un effimero quiz andato in onda nell'estate 2003 per lanciare la patente a punti, aggiungo io). E qualche collega, forse, non sarebbe oggi in cassa integrazione, perché magari organi d'informazione più credibili avrebbero potuto meglio reggere alla crisi economica.
Mi direte che le case automobilistiche sono impegnatissime a produrre veicoli più sicuri. Vero, un po' per le normative sempre più stringenti, un po' perché certi accessori di sicurezza sono anche argomento di marketing e vendita e un altro po' perché, in fondo, se scoppiasse un problema grosso lo scandalo metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa delle aziende (il caso Bp insegna, in questi mesi). Poi c'è la naturale riservatezza, dovuta alla tutela di cardini indiscutibili dell'attività economica: il segreto industriale e la reputazione. Tutto vero, per carità. Ma un punto di equilibrio va trovato: un'auto difettosa oggi di fatto può restare tale e come tale può anche uccidere.
*Per chiarezza e precisione, aggiungo che un anno dopo quei fatti fui promosso, ma nel modo più limitato possibile. La promozione ebbe l'effetto di far riscrivere il mio contratto di lavoro inserendovi (com'era diventato d'uso da qualche anno) gli straordinari a forfait, cosa che obiettivamente rendeva possibile la mia piena utilizzazione in un periodo in cui da un lato ero in prima linea nella fattura di guide per il consumatore da allegare alla rivista e dall'altro era stato posto un tetto agli straordinari "a tassametro".