Le diesel Euro 6 sono pulite? Solo poche per ora. Ma non si dice

Ormai è una guerra di cifre. Ma è una guerra invisibile, perché i media affrontano l’argomento poco e prevalentemente con dichiarazioni e notizie che vengono dalla parte che ha più soldi (investiti in pubblicità, per una parte minoritaria ma non certo trascurabile): le case automobilistiche. La controparte è variegata e frastagliata: ecologisti, associazioni di consumatori, nuovi soggetti che con l’ecologia cercano di fare anche business. Le case parlano delle Euro 6 come di auto pulite, gli altri dicono il contrario. Chi ha ragione?

Per capirlo, partiamo dall’ultima notizia, che è di ieri. Air (alleanza indipendente di organizzazioni pubbliche e private che promuove test indipendenti sulle emissioni dei veicoli) ha ricordato con le cifre secche di Emissions Analytics, che nessuno ha smentito, quello che le case non dicono: da quando si fanno test di misurazione delle emissioni anche su strada, la differenza tra i diesel più “puliti” e quelli più “sporchi” si è ampliata (differenze-euro-6-misurate-da-air-urges-cities-to-use-real-world-emissions-data-260618). E i migliori diesel hanno ormai emissioni di NOx (ossidi di azoto, al centro del dieselgate) paragonabili a quelle dei benzina, usciti rivalutati dopo lo scandalo Volkswagen nonostante peggiorino il bilancio delle emissioni di CO2 (e con l’aiutino di prezzi del petrolio che sino a qualche mese fa non erano tanto alti da far preoccupare la gente dei loro consumi più alti).

In fondo, sono notizie lusinghiere per le stesse case automobilistiche, che hanno dimostrato di saper adattarsi velocemente all’accelerazione del giro di vite su limiti di emissioni e test di omologazione decisa dalla Ue a causa del dieselgate: lo standard Euro 6 entrato in vigore per tutte le auto nuove nel 2015 è stato inasprito con i livelli Euro 6D Temp (obbligatorio dallo scorso settembre solo per le nuone omologazioni e da settembre 2019 per tutti) ed Euro 6D (2021), che sono tutt’altra cosa. Ma finora le case hanno glissato su queste differenze, si sono vantate solo in pochissime occasioni di rispettare i nuovi limiti e di certo non hanno smentito quegli esperti che nei convegni e sui media continuano ad affermare che le Euro 6 sono tutte pulite.

Chiediamoci perché e capiremo tutto.

I nuovi diesel puliti costano tanto: devono avere il catalizzatore selettivo Scr a iniezione di urea, che non solo fa alzare il prezzo dell’auto a livelli che faranno sparire il diesel dai listini delle utilitarie e di alcune medie, ma fa anche aumentare i costi di esercizio. Infatti, l’urea va rabboccata, perché ogni 1.000 chilometri se ne consumano un litro e mezzo o due, equivalenti a una spesa di 10-12 euro. L’industria, inoltre, non è ancora pronta a convertire l’intera produzione di diesel a Euro 6D: occorre ancora trovare soldi, investirli, fare ricerca, trovare fornitori eccetera. Se aggiungiamo che in Italia si parla di allineare il prezzo del gasolio a quello della benzina, capiamo che girare a gasolio tornerà a convenire solo a chi percorre molti chilometri.

Prima che i diesel puliti diventino obbligatori, alle case conviene continuare a tenere il ritmo che è loro congeniale, vendendo le diesel attuali e glissando su quello che vi ho appena raccontato. Magari cercando margini di guadagno sulle auto ibride, che consumano e inquinano poco solo in città e su percorsi misti (l’autostrada resta il regno del diesel) ma sono diventate di moda grazie agli ecologisti e ai proclami emozionali di più di un sindaco.

Le case recitano il copione solito: difendono la loro produzione attuale, la stessa che poi definiranno inquinante il giorno dopo che le successive norme sulle emissioni le avranno costrette a fare progressi in nome dei quali invitare gli automobilisti a un altro giro di acquisti (per sostituire anche vetture relativamente recenti e con pochi chilometri). Era così vent’anni fa, quando per Quattroruote facevo le inchieste sulla transizione da Euro 2 a Euro 3. E resta così anche oggi, che siamo in era Euro 6.

Anche ambientalisti & c. fanno sempre lo stesso gioco: seminare allarmi più o meno fondati, per controbilanciare le narrazioni rassicuranti dell’industria. Solo che, a differenza del passato, le loro punte di diamante si stanno attrezzando per fare test indipendenti che potrebbero togliere alle case e alle autorità nazionali (che non si mettono contro chi assicura decine di migliaia di posti di lavoro sul loro territorio) il monopolio dei dati.

Sono azioni e reazioni su cui si basa il mondo. Ognuno ha il suo ruolo. Anche i giornalisti, che devono trovare la forza di spiegare tutto chiaramente e tenendo la schiena dritta.