I super-camionisti non sanno nemmeno timbrare il cartellino

Se leggete i requisiti varati negli ultimi 15 anni dalla Ue, vi fate l’idea che chi guida camion o bus abbia più o meno la stessa preparazione di un comandante di nave o di un pilota di aereo. Se invece ascoltate i poliziotti che più hanno a che fare con queste persone, scoprite tutto un altro mondo. Fatto di poveracci che guidano mezzi non di rado insicuri, talvolta catorci che spingono qualcuno a mettersi d’accordo con gli agenti per farsi fermare e multare, in modo da convincere il proprietario del mezzo a cambiarlo o metterlo a posto. Spesso manca pure la formazione professionale, tanto che una delle più importanti e avanzate novità di questi anni per la sicurezza (il cronotachigrafo digitale) sta facendo centinaia di “vittime”: autisti che, durante i controlli, risultano aver sforato i tempi massimi di guida o non aver riposato abbastanza solo perché sono ancora convinti che lo strumento consideri automaticamente come riposo tutto il tempo in cui il veicolo sta fermo a motore spento, mentre in realtà dev’essere l’interessato ad “avvertire” lo strumento selezionando un comando (fare tutto in automatico è impossibile perché ci sono tempi di sosta che fanno parte del lavoro, per esempio quello necessario per operazioni e formalità di carico e scarico). Perché succede? Non dovrebbero essere come piloti di aereo?

Dopo aver interpellato un po’ di addetti qualificati, ho capito che i problemi sono essenzialmente quattro:

  1. le norme europee su accesso e formazione professionale non sono ancora a regime e chi era già autista può ancora continuare a farlo (dovrà aggiornarsi in futuro);
  2. chi lo fa non ha tempo per aggiornarsi, perché è spesso assorbito totalmente dai viaggi, per sbarcare il lunario (e infatti i poliziotti che aspettano gli autisti nelle aree di servizio per coinvolgere gli autisti nelle campagne informative Truck on Tour non ne trovano molti disposti a fermarsi, mentre quando portano aventi le stesse campagne sui traghetti ne attirano a frotte, perché sono nel tempo di riposo e oltretutto i veicoli sono in stiva per cui non c’è da temere che la “lezione” sia un pretesto per un controllo sul mezzo);
  3. non è certo che il sistema di formazione professionale funzioni in modo impeccabile, perché è costoso e le aziende non hanno una gran voglia di investire su un dipendente che, una volta abilitato, diventa appetibile per la concorrenza e quindi potrebbe lasciarle;
  4. non è certo che gli esami di qualificazione selezionino solo chi è preparato (per esempio, c’è sempre il rischio di trucchi).
  • no name |

    Secondo me c’è un quinto fattore, molto sottotraccia e pochissimo noto: in Italia la stragrande maggioranza dei camionisti non è dipendente di un’azienda vera, come i quattro punti precedenti farebbero supporre.
    In Italia il camionista Mario Rossi è dipendente unico della Mario Rossi snc della quale è contemporaneamente titolare e unico autista. È un modello lungamente coltivato dalla committenza, che così dispone di una ricca platea di peones non strutturati, da far lavorare al prezzo che vuole.
    Perché il problema vero, di cui il fattore formazione è solo un aspetto, è che il trasporto (oggi pomposamente detto logistica), è l’anello debole della catena produttiva, chiamato a compensare sia in termini di tempo (ritardo di produzione) sia di denaro (taglio dei costi), i problemi col cliente.
    Ecco quindi il perché del “millepiedi” fumigante che, magari con autista ucraino (lavora per 1500 euro/mese senza contributi perché mai pagare un italiano?), si spara Salerno – Trieste per consegnare due container che perderebbero la nave? quale azienda seria e strutturata accetterebbe di viaggiare in queste condizioni? magari rischiando la licenza.
    Così, invece, la nave Italia continua ad andare… in attesa dell’iceberg.

  • matteo |

    vede, caprino, in italia i camionisti non hanno molta familiarità con i tachimetri, mentre in altri paesi…
    dal quotidiano nazionale:
    Roma, 16 febbraio 2010 – Per evitare di prendere una multa un camionista ha sfiorato la follia. La polizia stradale svizzera lo aveva fermato sull’A2 per eccesso di velocità e lui, alla guida di un veicolo con targa italiana, non ha trovato soluzione migliore che ingoiare il tachimetro.
    La polizia ticinese ha poi verificato che l’autista, un uomo di 34 anni originario dei Balcani, aveva percorso 1054 chilometri in 18 ore senza pausa. Sentendosi braccato, l’uomo si è rinchiuso nella cabina di guida e ha ingoiato le schede del rilevatore di velocità del veicolo. Colto da malore, il camionista è stato ricoverato in ospedale.
    “Questo gesto teatrale è senz’altro inedito alle nostre latitudini”, si legge nel rapporto della polizia ticinese che non si è però lasciata impressionare: al camionista è stata ritirata la patente e il suo datore di lavoro ha dovuto versare una cauzione di 2.000 franchi.

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